Riccardo Donadon è uno degli imprenditori più innovativi del panorama italiano contemporaneo. Classe ’67, affamato delle novità che porta il mondo di internet, negli anni ’90 contribuisce a creare il primo centro commerciale virtuale italiano (il Mall Italy Lab) e una delle società più importanti nell’ambito dei servizi internet (E-TREE), entrambi ceduti con successo (a Infostrada e al gruppo Etnoteam). Nel 2005, dà vita alla sua creatura più famosa, H-FARM: una fucina di servizi digitali d’eccellenza che è anche incubatore e facilitatore di nuove idee, un luogo immerso nel verde biondo della tenuta di Ca’ Tron, di fronte alla laguna di Venezia, dove chi ha un progetto che viene riconosciuto speciale può trovare assistenza, collaboratori ed essere seguito sul versante pratico-economico. H-FARM, in più, propone delle formule innovative di formazione pensate per i giovanissimi. Oltre a una messe di laboratori e corsi speciali volti a sviluppare le competenze creative, digitali e multimediali dei ragazzi, all’interno di H-FARM è nata H-International School: un percorso scolastico che copre gli anni dalla scuola materna fino alle superiori ed è pensato per spingere i bambini a sviluppare i propri talenti e crearsi le competenze più necessarie alle esigenze di oggi. Capacità di muoversi nel mondo, autonomia, iniziativa, creatività, serenità, nozioni digitali, insegnanti internazionali, rispetto della natura – sono le parole d’ordine della scuola, oggi presente in quattro sedi: a Roncade (TV), Rosà (VI), Vicenza e Monza.
Donadon è stato presidente fino al 2015 dell’associazione Italia Startup; dal 2013, fa parte dell’Advisory Board di Unicredit e dell’Università Ca’ Foscari di Venezia. Nel 2016, viene designato legale rappresentante del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, in seno al Consiglio di amministrazione della Fondazione Università Ca’ Foscari, e, dal 2017, è anche socio dell’Ateneo Veneto.
La scuola di oggi riesce a dare agli studenti gli strumenti per affrontare le necessità di questo tempo? È ora di riformare radicalmente i suoi programmi? Partendo da cosa?
“Purtroppo oggi c’è una distanza molto forte tra scuola e vita e bisogna assolutamente fare qualcosa per riavvicinarle. È necessario stimolare i ragazzi attraverso parametri che non siano troppo lontani da quello che trovano fuori, altrimenti è facile che perdano l’interesse. Non è tutto da riformare, bisogna cercare di calare i percorsi scolastici tradizionali nella realtà. Come? Spostando il focus dalle conoscenze alle competenze”.
Che cosa cambierebbe, che cosa toglierebbe, che cosa introdurrebbe?
“Sicuramente darei più importanza alle lingue, che i ragazzi devono imparare molto bene per potersi muovere velocemente nel mondo e rafforzerei la matematica, come facciamo nelle scuole di H-FARM. La matematica è infatti essenziale per capire il pensiero computazionale e le basi per la programmazione. Introdurrei molte più attività che puntano sulle cosiddette soft skill, come il pensiero laterale, la capacità di lavorare in team, il design thinking. Tutte competenze che oggi più che mai sono essenziali per competere nel mercato del lavoro”.
Come potrebbe una buona scuola favorire l‘inserimento nel mondo del lavoro?
“Dando ai ragazzi gli strumenti necessari per affrontare la trasformazione digitale che è in atto. Insegnando loro a conoscersi meglio, capire quali sono le loro passioni, quali i loro sogni e come inseguirli e perseguirli. Tutto dipende da come si affronta un argomento: i nostri ragazzi utilizzano la realtà virtuale per fare lezione di astronomia e questo su di loro ha un effetto straordinario, si risveglia la curiosità e l’apprendimento da “passivo” diventa attivo perché molti di loro, oltre al materiale che hanno da studiare per la lezione, cominciano a fare ricerche autonome su internet, a guardare video su YouTube, a informarsi”.
È ancora sensato puntare a una pedagogia di tipo etico-astratto, idealistico, invece che funzionale? Non è un prendersi in giro fingendo vivo un universo di valori assoluti che la storia recente ha ucciso? La formula “serve per aprire la mente” non ha il sapore di un’illusione?
“Certo che lo è. Il fattore umano è imprescindibile da quello più “funzionale” ed è importantissimo che i ragazzi esplorino teorie, idee, storie che possano appassionarli e aprire la loro mente. Mai come oggi abbiamo bisogno di ragazzi flessibili, non spaventati dal cambiamento, non chiusi nel loro campanilismo ma cittadini del mondo”.
L’alfabetizzazione di massa è un problema ormai superato. Varrebbe la pena lasciare, fin dalle elementari, più libertà di scelta agli studenti e alle famiglie, sia per quanto riguarda la possibilità di specializzarsi in certi ambiti piuttosto che in altri, sia per quanto riguarda gli orari in cui frequentare la scuola? Mantenere magari un minimo di ore obbligatorie e renderne facoltative e personalizzabili altrettante?
“Sì, è importante che il percorso sia personalizzato sulla base delle capacità e dell’inclinazione degli studenti, fin da bambini, per evitare di appiattire la conoscenza e che ci siano disparità tra chi fa più fatica, e resta più indietro, e chi invece ha più facilità nello studiare. Nella nostra scuola internazionale per esempio, non affrontiamo il programma scolastico in maniera tradizionale, ma in base a delle “unit of inquiry”, delle tematiche intorno a cui spingiamo i ragazzi a porsi delle domande e a fare delle ricerche. Crescendo, chiaramente, questo processo diventa più approfondito e si amplia, con la possibilità di personalizzare sempre di più il proprio percorso scolastico: i ragazzi possono scegliere attività, corsi extracurricolari, laboratori. Ma possono anche lavorare ai loro “personal project”, dei veri e propri progetti che presentano alla fine del MYP (che nel sistema scolastico italiano corrisponde alla fine del ginnasio): abbiamo avuto ragazzi che hanno creato il proprio videogioco, chi il proprio corto, chi invece ha scritto un libro. Quando dai la possibilità ai ragazzi di esprimersi nascono cose meravigliose”.
Non è necessario, sempre, dalle elementari alle superiori, lasciare ai ragazzi del tempo per coltivare altre qualità oltre all’efficienza della mente?
“Sì, assolutamente. Il tempo per rilassarsi, per divertirsi è necessario per essere poi ancora più concentrati sui propri compiti, sui propri studi. Le scuole più all’avanguardia tendono a non caricare di compiti per casa i ragazzi: la maggior parte dello studio viene fatto a scuola, lasciando così la possibilità di potersi dedicare allo sport e alle altre attività che i ragazzi amano”.
È vero, almeno qualche volta, che “lo stupido istruito ha solo un campo più vasto per praticare la sua stupidità”?
“Non è il tuo titolo a identificare la tua intelligenza e nemmeno le tue conoscenze. Sono le cose che fai, le idee che persegui, i valori in cui credi che ti definiscono come persona. Studiare è importante perché ti dà gli strumenti per raggiungere il tuo obiettivo: poi però sta a te lavorare per raggiungerlo”.
Già siamo alla puntata 28. Saremo prossimi alla metà?