“Verità e menzogne sul brigantaggio” con sottotitolo “La sconosciuta replica della corte borbonica alla relazione Massari (1863)” (edizioni Controcorrente, pp. 244, € 20) è l’opera più recente pubblicata da Gaetano Marabello nel 2018. Giornalista e ricercatore storico, Marabello ha già al suo attivo altre due opere dedicate all’approfondimento e alla revisione storiografica del brigantaggio, fenomeno che, com’è noto, esplose all’indomani dell’unificazione d’Italia tra il 1861 e il 1865 nelle province meridionali che avevano fatto parte del Regno delle Due Sicilie: il primo, “Briganti e pellirosse” del 2011, è uno stimolante raffronto tra le vicende degli Indiani d’America e quelle dei Briganti nel mezzogiorno; il secondo, “La legge Pica” con sottotitolo “I crimini di guerra dell’Italia unita nel sud” del 2014, è una serrata, avvincente analisi per risolvere quello che si palesa come un vero e proprio giallo storico, gettando luce sull’identità che si cela dietro l’autore di uno sconosciuto pamphlet del 1865 a firma di un certo Inorch Scorangeff (un evidente pseudonimo), che analizzava e criticava dal punto di vista strettamente giuridico la legislazione eccezionale introdotta nel 1863 per venire a capo del fenomeno del brigantaggio.
In “Verità e menzogne sul brigantaggio” Marabello, presenta con lodevole chiarezza espositiva e scrupolo filologico (basti pensare che ci sono ben settanta pagine di note esplicative a corredo di un testo di poco più di cento pagine) uno scritto del 1863 del marchese Georges Palomba, finora sconosciuto alla storiografia ufficiale, “Aveaux et mensonges”, da lui reperito in ricerche d’archivio ed egregiamente tradotto per la prima volta dal francese. “Aveaux et mensonges”, per l’appunto “Verità e menzogne”, si presenta come un agile pamphlet, dalla parte dei vinti borbonici, che il marchese Palomba, incaricato dal re in esilio, scrisse a caldo, pochi mesi dopo, in risposta all’inchiesta parlamentare sul brigantaggio, nota come relazione Massari, nel tentativo di confutarne risultanze ed argomentazioni. Va rilevato che lo stile del Palomba è di piacevole e scorrevole lettura, ed inoltre che le sue argomentazioni, come scrive nella prefazione Mario Spagnoletti, “poggiano abilmente su testi e affermazioni ripresi non da oppositori dell’Unità o filo borbonici, bensì da noti e accreditati esponenti della classe dirigente “unitarista”, accrescendo così la sensazione nel lettore di una sostanziale obiettività e non partigianeria preconcetta dell’analisi.”
Se vogliamo, il leitmotiv delle argomentazioni del Palomba possiamo trovarlo in questa sua osservazione: “Se Napoli avesse tanto sofferto sotto i Borbone, si sarebbe facilmente accontentata della novella dominazione. La resistenza produce evidentemente il dilemma che o essa non ha sofferto sotto l’antico governo, o che il nuovo è ben peggiore dell’antico e non ha per conseguenza ragione d’esistere.” Nell’appassionato ed accurato saggio introduttivo, intitolato “Il marchese che confutò Massari”, Marabello ricostruisce le circostanze che portarono alla stesura dello scritto, le vicende biografiche del marchese Palomba e il più generale contesto storico-politico. Caratteristica della ricerca storica di Marabello – e suo merito precipuo – è senz’altro quella di “reperire e ripubblicare testi coevi quasi ignoti di polemica storica e/o giuridica sulla fase cruciale dell’unificazione nazionale, dando finalmente la parola ai “vinti” e consentendo ai postumi lettori di rileggere di prima mano i documenti di una battaglia che non fu solo “militare”, ma ideologica e politica.” (Mario Spagnoletti). Il volume rappresenta dunque un importante contributo storiografico, nella consapevolezza, come già notava Pierre Drieu La Rochelle, che “una nazione non è una voce unica, è un concerto.”
La cosa migliore è ora ridare l’Indipendenza al Regno delle Due Sicilie. E poi costruire un muro…
…e lo pagherete voi padani!
Che affarone! Il Sud non è mai servito a nulla ed è sempre costato moltissimo…
Se proprio si vuole essere obiettivi, bisogna dire che la situazione generale delle regioni meridionali in epoca borbonica non era affatto rosea, e dopo l’Unità in certe cose è rimasta immutata, in altre peggiorò. Non a caso, il grande esodo migratorio che interessò le regioni meridionali per oltre un secolo, ebbe avvio proprio dopo la loro annessione al Regno d’Italia, che essendo di fatto un “Piemonte allargato” vi introdusse il proprio regime fiscale, generando ancora più povertà. Lo Stato italiano chiedeva troppo e non spendeva nulla, i Borbone invece non spendevano nulla ma almeno non imponevano tasse esose ai loro sudditi.
“il Risorgimento non fu un movimento nazionale che per accidente” visto che “rientrò nei moti rivoluzionari determinatisi in tutto un gruppo di Stati in conseguenza dell’importazione delle idee della rivoluzione giacobina. Il ’48’ e il ’49, ad esempio, ebbero un identico volto nei movimenti italiani e in quelli che si accesero a Praga, in Ungheria, in Germania, nella stessa Vienna asburgica, in base ad un’unica parola d’ordine. Qui si ebbero semplicemente tante colonne dell’avanzata di un unico fronte internazionale, comandato dall’ideologia liberaldemocratica e massonica, fronte che aveva anche i suoi dirigenti mascherati” J.Evola in “Gli Uomini e le Rovine.”
I piemontesi e liguri emigravano a metà ‘800 più dei meridionali! L’Unificazione non ci portò alcun vantaggio economico, solo maggiori tasse….forse a qualche industriale…
@Stefano
Non è più un mistero che l’aspetto patriottico del Risorgimento è pura leggenda spacciata per verità storica, quando in realtà l’obiettivo di chi intendeva creare lo Stato unitario italiano era in realtà quello di eliminare la presenza della Chiesa Cattolica, che allora era ancora un’entità spirituale autentica, a differenza di quella attuale.
Stefano, grazie.
Werner, spero sia riduttiva questa analisi.
Chissà quanto sono sbilanciatamente di parte e quanto fondate le affermazioni secondo le quali il nord ne trasse vantaggio dall’unione. Non mi sembra ci siano grossi dubbi per nessuno che per il sud questi vantaggi non vi furono, qualcuno dissente?
La povertà nel Piemonte della II metà dell’800 era spaventosa. Ancora negli anni ’50 la vidi da bambino, nelle valli alpine specialmente, ben tangibile. Come l’ignoranza e la superstizione. Le grandi masse contadine vivevano una vita miserrima. E la colpa principale, forse a qualcuno non piacerà ascoltarlo, era della nostra Chiesa tradizionale, quella che voleva il popolo ignorante e sottomesso. Che faceva propaganda contro l’istruzione obbligatoria ed un minimo di riconoscimento dei diritti della donna. In fondo la Dinastia accolse cautamente le idee massoniche e liberali che, seppure non subito, schiusero poi un diverso futuro.
Abbiamo fatto l’Italia,adesso dobbiamo fare gl’affari nostri!
Ed è per questo che l’allegra dinastia calò con il suo esercito a saccheggiare la seconda riserva d’oro europea,quella dei Borboni, smontare le filiere e le aziende di tessuti e portarle al nord, internare gli ufficiali ed i soldati borbonici restii alla coscrizione nell’esercito piemontese.
Non prima ovviamente di aver bloccato Garibaldi a Trani che avrebbe marciato su Roma divenendo di fatto il pro/console ed aprendo altrettanto di fatto la guerra civile di liberazione. Ma in quel caso i massoni piemontesi fecero da scudo ai Gesuiti bloccando un altro scomodo massone.
E da quei giorni iniziarono i massacti della normalizzazione post unitaria. I viceré borbonici prontamente riconvertiti al neo parlamento liberale mantennero i loro feudi,e Garibaldi maledi il giorno che si fece utilizzare per scopi altrui .
E li che nacque una questione meridionale che prima non c’era ed è da quei giorbi che alcuni potentati economici nazionale presero ordini da quelli internazionali con il Piemonte e la casa Savoia sempre al centro di tradimenti e congiure contro la Nazione e di cui il Fascismo fu l’ultima vittima.
Taano e non Trani ..
@Giacomo
Posso assicurarle che la mia analisi è stata molto riduttiva e che ce ne sarebbero tanti di cose da dire. Lei ha scritto sui vantaggi che non sono derivati dall’unificazione, beh per forza, dietro questa guerra “patriottica” si nascondeva in realtà l’interesse del Regno di Sardegna a scampare dalla bancarotta, cosa che poteva essere evitata solo con l’annessione degli altri Stati italiani, la cui situazione finanziaria era di gran lunga migliore. Il Regno di Sardegna, nel 1859 aveva un debito pubblico enorme di ben 1,1 miliardi di lire dell’epoca – creato da Cavour e soci – pari al 74% del PIL, mentre il Regno delle Due Sicilie di 411,5 milioni pari al 16% del PIL, e perdipiù con bilanci in ordine ed importanti riserve auree, che come ha ben scritto La vendetta di Catilina fecero gola ai sabaudi. La classe dirigente liberale piemontese era ben consapevole che quel debito da essa creato era impagabile con i tributi pagati dai soli piemontesi e liguri, per cui si fecero “patriottici” allo scopo di far pagare i loro debiti anche a lombardi, toscani, siciliani, napoletani, ecc.
@Guidobono
Che il proletariato piemontese e ligure non ci guadagnò nulla dall’Unità d’Italia, lo sappiamo, così come sappiamo che furono i primi a emigrare verso le Americhe e la Francia. D’altronde mica avevano il diritto di voto, che all’epoca era per censo, e riservato dunque solo all’aristocrazia e alla borghesia industriale, entrambe liberali, che facevano politiche solo ed esclusivamente a loro vantaggio, in particolare i secondi. E’ vero, i Savoia furono il Cavallo di Troia delle idee massoniche e liberali, e non poteva essere altrimenti visto che Carlo Alberto era di idee giacobine, appartenente al ramo cadetto dei Principi di Carignano, culturalmente più francesi che italiani, divenuto Re di Sardegna nel 1831 essendosi estinto il ramo principale dei Duchi di Savoia – tradizionalista e cattolico – e che nel 1848 concesse il famoso Statuto liberale. Nel 1812 anche Ferdinando III di Borbone aveva concesso in Sicilia una costituzione, ma per evitare che i napoleonici conquistassero pure l’isola, dato che il Regno di Napoli era caduto sotto occupazione francese.
I savoiardi sono buoni nel tiramisù.
Carlo Alberto di tutta l’allegra dinastia è l’unico personaggio ” tragico ” e di un certo spessore che si deve rispettare, proprio perchè perdente e ” da solo ” e senza “magheggi internazionalisti” con le consorterie francesi ed Inglesi Re peraltro poco incline ai “grembiulini da loggia ” .
E’ l’unico Re per il quale val di spendere l’elogio per una sconfitta annunciata ma pur sempre letale.
Lasciamo perdere i Vittorio Emanuele II ed i Cavour veri maniaci dell’intrighismo e del deviazionismo internazionalista.
Ma li’ la vera responsabili l’hanno avuto Garibaldi e le sue camice rosse che dovevano forzare la mano ( e d’altra parte Mazzini aveva sempre affermato che bisognava buttare giu’ il Regno Sardo-Piemontese come atto prioritario ) . Lo stesso Pisacane che mori’ combattendo contro i borboni a Sapri aveva scritto a chiare lettere che la dinastia pericolosa era quella del nord.
Basta leggere le pagine gi G.C. Abba lo storiografo ufficiale dell’impresa dei mille per capire cosa pensavano i garibaldini del regno sardo-piemontese. E da quelle camice rosse fece parte Carmine Crocco , passato poi alla storia come come comandante supremo dell’insorgenza : pace e onore alla sua anima guerrigliera …. ( Pasquale Squittieri ed il suo film e Li chiamarono briganti).
Ma anche lo splendido film Noi Credevamo di Mario Martone da far veder al cinema.
La Meglio Gioventu’ dell’insurrezionalismo e dell’insorgenza sacrificata alla normalizzazione piemontese e alla restaurazione dei gattopardi.