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Il fatto (di P. Isotta). Perché il caso di Prato non ha nulla a che fare con la violenza

by Paolo Isotta*
18 Marzo 2019
in Cronache, Cultura
3

Da un lato assistiamo al caso di tre sventurati i quali, nell’ascensore della ferrovia Circumvesuviana, stazione di San Giorgio a Cremano (le porte si aprivano e chiudevano dando un turpe ritmo all’azione) violentano una donna, attirata col pretesto di scusarsi d’un’altra aggressione non andata a “buon” fine. I particolari non sorprendono: i tre non hanno fatto la scuola obbligatoria, il solo loro interesse è la cura “del look”, giusta i canoni estetici dell’ambiente di provenienza, e gli abiti “firmati”. Inutile domandarsi la scala dei valori delle famiglie in cui si sono, a dir così, formati. Immagino al vertice ne siano gli adolescenti di camorra che esibiscono su “facebook” le bottiglie magnum di Dom Pérignon e la loro effige mentre imbracciano ‘o fierro, la mitraglietta. Li chiamo sventurati perché senza presente, senza futuro, con menti incapaci persino di cogliere nell’azione il rapporto fra causa ed effetto.

Fino a non molto tempo fa l’indirizzo della magistratura era di riconoscere difficilmente la violenza fatta alle donne. Certo, ci sono sempre stati simulazioni e ricatti. I “paglietta”, in ogni provincia italiana, blateravano trionfalmente l’adagio vis grata puellis, quasi fossimo ai tempi del ratto delle Sabine. Certo, provarla è spesso difficile, anche per l’infinita diversità della dialettica e della casistica erotica o solo sessuale. Un esempio può vedersi nel recente e bellissimo film di Marco Tullio Giordana Nome di donna.

Ma adesso l’accadimento che m’interessa è inverso, quello di una “violenza” fatta a Prato su di un quattordicenne da una donna di trentacinque anni che gli dava lezione d’inglese. Violenza, viene chiamata. Ma come si fa? Se il ragazzo avesse avuto un rapporto sessuale passivo con un uomo maturo, forse i presupposti per un’indagine ci sarebbero; e non parlo di quel che avviene nell’ambiente dei seminarî, e fra parroci e catecumeni. La psicologia degli adolescenti è quanto di più complesso sia. Gli istinti erotici li provavo a sei anni, i miei primi rapporti completi li ebbi a dodici. Oggi la cosiddetta “soglia” si è molto abbassata. I ragazzi fanno di tutto con compagni e compagne di scuola e di comitiva; e sarebbe bene se il sanissimo istinto erotico si esplicasse di per sé, senza ausilio di alcool e droga.

Un tempo nelle famiglie della borghesia la cameriera aveva obbligo istituzionale di svezzare il signorino. All’inizio del Novecento un cugino di mio padre ebbe due figli, poi riconosciuti, dalla balia toscana dei fratelli piccoli. Nel Carme Sessantunesimo Catullo narra di uno schiavo concubino che dorme con un adolescente, Manlio Torquato, finché questi non si sposi.   Ciò non esiste più. Ma provare la coercizione su di un ragazzo capace anche di fecondare una donna mi pare impossibile. A me sembra che fra la donna e il ragazzo non ci sia stata solo un’eccitazione erotica: che comunque non condannerei, è lo sbocciare della vita in un adolescente, è il manifestarsi perpetuo della vita in una donna.  Credo che il rapporto fra i due si possa chiamare amore. La violenta fame d’amore che un quattordicenne prova. Il bisogno d’amore di una donna né troppo giovane né troppo matura verso un giovanissimo. Il film della commedia all’italiana ha ricamato in modo abietto sul versante comico di casi che vanno visti sovente con la delicatezza, la pudicizia dell’animo. Altri ricorrerà al luogo comune dell’interpretazione psicoanalitica, il complesso di Edipo. La saggezza antica invece ci sovrasta. Amor omibus idem, canta Virgilio, l’amore è eguale per tutti; e i medioevali Carmina Burana gioiosamente affermano Amor volat undique, L’amore vola dovunque.

www.paoloisotta.it

*Da Il Fatto Quotidiano del 16.3.2019

Paolo Isotta*

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Tags: Barbadillocircumvesuvianadonnepaolo isottastupro

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Comments 3

  1. Luca says:
    2 anni ago

    Qui, vero cari colleghi commentatori, preferiamo la versione più sapida apparsa su “Libero” e poi ripresa anche da Barbadillo. I lettori del “Fatto” – questa è la conclusione che inevitabilmente sono portato a trarre – si scandalizzano per poco; non posso che concludere con un “educande!”.

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