Guillaume Faye, uno dei maggiori intellettuali del panorama culturale francese, morto nella notte fra il 6 e il 7 marzo scorsi, aveva lottato a lungo contro un male aggressivo, con coraggio, senza trascurare la scrittura e gli interventi nel dibattito culturale. Diplomato all’Institut d’études politiques di Parigi, aveva conseguito un dottorato in Scienze politiche e fu uno dei maggiori teorici del Groupement de recherches et etudes pour la Civilisation européenne (Grece), e dell’ambiente più tardi noto come Nuova Destra francese, nel periodo compreso fra il 1970 al 1986. In seguito si allontanò per divergenze ideologiche dal laboratorio politico di de Benoist. Era nato ad Angouleme nel 1949 (nella regione Nuova Aquitania) e proveniva da una famiglia dell’alta borghesia parigina. Pubblichiamo il ricordo di un nostro collaboratore.
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Quando si aprì la porta della sede del Grece, in un arrondissement popolare di Parigi, mi trovai davanti Guillaume Faye, in camicia e cravatta. “Monsieur Guillaume Faye?” dissi, avendolo riconosciuto. Mi presentai, spiegai che venivo dall’Italia, che ero interessato al laboratorio di idee della Nuova Destra francese e alla loro produzione culturale. Mi fece accomodare ed entrai in un grande ufficio, con un paio di scrivanie al centro, un grosso computer e due signore che stavano lavorando su degli elenchi. Faye fu molto gentile, parlammo un po’ e poi mi condusse in un’altra grande stanza dove c’erano, su tavoli ed espositori, riviste, libri, dépliant, poster. Parlammo un po’ della situazione culturale e politica in Francia e in Italia. Mi chiese di seguirlo e andammo in una delle stanze meno grandi dell’appartamento, lo studio di Alain de Benoist. Mi presentò il “capo” riconosciuto della Nuova Destra. Lo studio era stretto e lungo, con la scrivania di spalle a una grande finestra e di fronte all’ingresso della stanza. De Benoist era seduto alla scrivania, stava leggendo un quotidiano tedesco. Sul tavolo da lavoro, una pila di libri e giornali francesi, italiani, britannici. Sulla sinistra entrando mi colpì, in una sobria cornice scura appoggiata su un mobile basso, addossato alla parete, una foto in bianco e nero di Alain de Benoist in compagnia di Ernst Jünger e una dedica in tedesco dell’autore delle Tempeste d’acciaio. Faye mi presentò de Benoist e dopo alcuni convenevoli con de Benoist, Faye mi disse che doveva assentarsi per un impegno. Prima di andar via mi dette appuntamento per il giorno successivo, per l’ora di pranzo. Così avremmo avuto modo di parlare.
Il giorno dopo andammo in una brasserie lì vicino, insieme con un suo amico, un certo Michel, probabilmente dell’amministrazione (non si trattava né di Michel Marmin né di Michel Mourlet). Ci sedemmo a un tavolo e Faye cominciò a parlare in maniera fluente in un ottimo italiano, con poche inflessioni. In seguito avrei saputo che la sua amicizia con Giorgio Locchi lo aveva spinto a imparare la lingua di Dante.
Rimanemmo al tavolo per una parte del pomeriggio, dopo la fine del pranzo, e discutemmo quasi sempre della Nuova Destra e di scrittori e di libri. Faye aveva un modo di esprimersi che colpiva, aveva grandi capacità oratorie e discorsive: parlava della strategia della Nuova Destra, del gramscismo di destra, della conquista delle coscienze attraverso il cinema, l’arte, la letteratura, il pensiero politico e citava di volta in volta Nietzsche, Benn, Drieu, Evola, Machiavelli, Hobbes, facendo seguire ragionamenti interessanti, con riferimenti alla filosofia e all’economia. Era accattivante quella forza discorsiva, resa più incisiva da esempi, riferimenti, spiegazioni con paragoni mutuati dalla realtà contemporanea. A esempio, parlava della necessità che l’Europa lottasse contro gli Usa (anni dopo cambiò parere) e mi anticipò che il Grece stava studiando al proprio interno il tema della convergenza teorica fra Europa e Terzo mondo, con riferimenti espliciti al mondo arabo (l’anno successivo, il 1986, uscì il libro di de Benoist, Europe-Tiers monde, meme combat e io pensai a quell’anticipazione di Faye). Alle mie perplessità rispose che si trattava di una alleanza momentanea, “come nei tornei internazionali di calcio – disse – quando si affrontano le varie squadre in ogni girone e qualcuno, di volta in volta, viene eliminato”.
Feci alcune domande sulla sua opera che avevo letto l’anno precedente, Il sistema per uccidere i popoli (Edizioni L’Uomo libero), attacco preciso e ben argomentato contro la globalizzazione, e mi parlò di una nuova edizione che avrebbe preparato arricchendola di ulteriori analisi prevedendo che allora il multiculturalismo era solo all’inizio nell’opera di distruzione svolta contro l’Europa. Mi indicò le riviste italiane che riportavano in traduzione i suoi scritti. Le conoscevo. Parlammo di amici italiani comuni e, quando tornammo nella sede del Grece, mi consigliò due numeri di Nouvelle Ecole, un libro di geopolitica di Jordis von Lohausen, uno di Louis Rougier. Estroso, un diluvio di parole, citazioni, molto colto, mostrava sempre grande energia e partecipazione in quello che diceva, come se ci mettesse un supplemento d’anima nelle cose che asseriva, con uno spirito militante determinato, frutto di un pensiero faustiano, evidentemente nietzscheano, con un sottofondo neopagano, rafforzato da continui richiami alla mitologia greca e romana che amava citare. Amava la tecnoscienza europea che considerava importante se sposata con una visione volontaristica e di destra. Insomma, radici più futuro. Non esitava a utilizzare espressioni polemiche e provocatorie. Era ottimista, nonostante tutto, sul futuro dell’Europa, si considerava un “nazionalista europeo”, in questo forse richiamandosi agli scritti di Drieu che tanto apprezzava.
Ci salutammo e in quell’ormai tardo pomeriggio d’estate uscii dalla brasserie, con il mio pacco di riviste e di libri sotto il braccio. Faye in quell’incontro mi era sembrato differente dal resto degli autori del Grece, certi suoi riferimenti teorici non erano sempre in linea con la Nuova Destra. Almeno quella presentata in Italia dalla Nuova Destra di Marco Tarchi che pure spesso presentava traduzioni dei maggiori teorici della Nd francese. L’anno dopo, infatti, Faye abbandonò il Grece a seguito di polemiche e divergenze su temi di fondo. Una personalità forte, una volontà faustiana, un uomo libero.
Che riposi in pace.
Nella presentazione a Roma del testo sull’Archeofuturismo ebbi modo di conoscerlo di persona, anche se avevo organizzato almeno un decennio prima due/tre presentazioni del suo Il sistema per Uccidere i Popoli. Era un Pagano Nominalista che stava ‘intuendo’ un nuovo livello di scontro sul piano etnico/culturale/razziale non più tra ESt ed Ovest ma tra Nord e Sud è dove l’elemento etnico/razziale aveva preso il posto di quello culturale politico ed antropologico.
Sul modello dell’Elaborazione Heideggeriana dove “morto il centro’ la periferia ed il centro erano dappertutto aveva elaborato nove linee di crisi ,la cui convergenza avrebbe generato la guerra generalizzata dive grazie alla tecnoscienza e alla tragica irruzione del tragico i Popoli del Nord avrebbero ripreso vigore…
C’è chi lo accusò di essere approdato dal nominalismo ad un determinsimo regressiva e troppo filoccidentale.
Dei due ‘libri/scenari” forse oggi abbiamo una perfetta sintesi di profezia ed anticipazioni.
Siede con Gli Dei ….
In Italia ne Tarchi né Mutti seguirono l’evoluzione di Faye sulla sua deriva di scontro globale etnico/razziale, ma anche M. Murelli che ne pubblicò il testo chiave, rimase su una posizione distanziata non tanto dalle analisi ma dalle sue logiche conclusioni.
Da vero Pagano sosteneva che ogni conflitto e temporaneo, non è assoluto e che gli scenari si riscrivono sulla base di una tragicità che irrompe misteriosa, splendida e casuale che riconbina lo scontro è confonde amici e nemici ed infine i campi di battaglia.
Comunque il racconto finale dell’Archeofuturismo vibra di una forza ‘non umana’ e tremendamente attuale ma è anche ricco di quelle Tentazioni Nicciane che illuminano ed entusiasmano le menti libere…
Tante lungaggini paroliere,tanti nomi di aspiranti teorici di ipotetici campi di battaglie.Tanta enfasi di fantasie lontane,per poi arrivare A NIETZSCHE!!
Non entro nella specifico della questione perché non mi sento di muovere critiche nel momento di una perdita che troppo importante al di là delle divergenze di idee, però da tutto ciò si può constatare come pur partendo da posizioni consonanti si possano intraprendere strade divergenti se non radicalmente opposte, questo è il caso di Faye e De Benoist, e mentre quest’ultimo secondo me giustamente si è rivolto alle forze eurasiatiche ed ha diretto la sfida all’ occidente in modo trasversale implementando anche le grandi correnti del pensiero anticapitalista in un ottica di superamento e sintesi, Faye al contrario si è rivolto verso un chiaro occidentalismo di marca quasi neo-con ed a tratti suprematista, non capendo invece che la sfida è fra quelle grandi forze che vengono definite “civiltà stato”, di cui la componente etnica è secondaria rispetto a quella etica, valoriale e di organizzazione sociale, ovviamente ci sono anche intuizioni interessanti nell’ interpretazione archeo-futurista di Faye, ma sono le conclusioni ad essere irrimediabilmente non condivisibili da parte mia che invece ho sempre sostenuto la direzione appunto di De Benoist, di Mutti e Dugin senza contare l apporto determinante anche del compianto Terracciano e dello stesso Preve… Onore a Faye sempre e comunque, mi dispiace solo che le sue vedute saranno magari sfruttate proprio da un Bannon qualsiasi per intrappolare l Europa nella gabbia dell’occidente, magari facendo leva su etno-nazionalismi piccoli e medi, mentre cio di cui abbiamo bisogno è proprio un unità che si faccia “civiltà stato”, che unisca il grande spazio europeo prima di tutto su una base di valori contrapposti a quelli del mercantilismo apolide,che guardi alla Russia ed alle altre grandi civiltà stato eurasiatiche come propri alleati naturali in questa lotta, da una posizione paritaria che solo una grande Nazione europea potrà garantire nel multipolarismo dei grandi spazi in cui gli stati nazionali non potranno avere nessun margine di manovra e di indipendenza perché schiacciati dalle grandi potenze geopolitiche e dalla finanza trans-nazionale, questa si vera responsabile delle linee di frattura che oggi vediamo, anche di tipo etnico perché la causa di tutto è proprio in questo nostro “nemico principale” chiamato occidente che fa rima con democrazia liberale capitalista,questo ciò che Faye ha dimenticato volutamente di mettere in cima a tutto il resto al contrario invece di De Benoist che ha capito perfettamente la natura dello scontro, ma per citare proprio Nietzsche che Faye aveva tanto a cuore, solo l’Europa come “volontà unica,formidabile, capace di perseguire uno scopo per migliaia di anni” potrà far fronte a tutto ciò… Onore a te camerata Faye.
La cosa paradossale a pensarci bene è che in realtà c’è un popolo che incarna quasi perfettamente l’ideale archeo-futurista di Faye, un popolo che unisce tecnoscienza ed identità ancestrale, che accanto ad una faustiana ascesa tecnologica pone la prorpia volontà di potenza su base etnica e di solidarietà di razza, che unisce in qualche modo futurismo e tradizionalismo , il problema è che questo popolo non è occidentale ma estremo-orientale, infatti se uno ci pensa cos’è la Cina se non uno stato archeo-futurista che come direbbe Faye è dinamico, guarda al futuro ma ha anche una lunga memoria, unisce la tecnoscienza alla immemorabile comunità tradizionale. La mia è una provocazione ovviamente, ma la propongo come spunto di riflessione sull’archeo-futurismo come paradosso, proponendo appunto questo paradosso del paradosso se mi si consente l espressione.
De Benoist, Mutti, Dugin? Tre per il prezzo di uno! Ribassato…
bel ritratto a tutto tondo, preciso ed evocativo!