
Pubblichiamo un estratto del saggio di Cristina Di Giorgi, “Teseo Tesei all’assalto della gloria”, Idrovolante edizioni
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Isola d’Elba, 3 gennaio 1909. In una casa di Marina di Campo, illuminata dal sole che la riscalda e allontana con i suoi raggi il freddo dell’inverno, si festeggia una nascita: quella dell’ottavo figlio di Ulisse Tesei e di sua moglie, Rosa Carassale.
I genitori, felici, danno al loro bimbo il nome Teseo. Come il protagonista di una delle più celebri pagine della mitologia greca, che vanta tra le sue avventure quella che lo ha portato, usando soprattutto la sua astuzia, ad uscire dal labirinto nel quale il Minotauro lo aveva rinchiuso.
Il periodo spensierato dell’infanzia Teseo lo trascorre serenamente tra il suo paese natale e Firenze. Nel capoluogo toscano il padre gestisce una fiorente attività commerciale, alla quale si dedica con molta dedizione. Ciò ha comportato la decisione di dismettere progressivamente i velieri della flotta avuta in eredità dal padre Demetrio, che faceva l’armatore. Ulisse però “non si dimenticava dell’isola natale e anzi pretendeva che ogni figlio venisse alla luce in terra elbana”.
Durante i mesi invernali i Tesei vivono dunque in città. Ogni estate però, con l’inizio della calura estiva, si trasferiscono armi e bagagli a Marina di Campo, dove possiedono immobili e poderi agricoli. E’ qui che, sfuggendo all’afa della città, si godono il clima mite dell’Isola e le acque trasparenti che la circondano. Ed è qui, ancora, che Teseo comincia a prendere confidenza con il mare: gli piaceva molto, come ricordano alcuni suoi compaesani, viverlo in solitudine, per sentirlo ancora più vicino. Non è difficile dunque immaginarlo passare lunghe ore in acqua, nuotando o imparando a navigare a vela (una passione questa trasmessagli dal nonno Demetrio) e ad andare in canoa. Oppure seduto sulla spiaggia a fissare l’orizzonte. E a rimpiangere le navi di famiglia, chiedendosi qual’era stato il loro destino.
Molto probabilmente poi, come tutti quelli con solide radici affondate nel regno di Nettuno, Teseo si è rivolto al mare anche per trovare conforto nei momenti difficili. Come quello della morte dell’amata mamma Rosa (1915) e, a pochi anni di distanza (1918), di papà Ulisse. In quegli istanti quasi certamente Teseo, ancora molto giovane, ha cercato di ritrovare almeno un po’ di serenità facendosi cullare dal placido suono delle onde che si infrangono sulla spiaggia di Marina di Campo.
L’ultimo nato dei Tesei, nonostante le gravi perdite, continua a dedicarsi con impegno al suo dovere di studente: dopo aver frequentato, in collegio, l’Istituto dei Padri Scolopi di Firenze fino alla V° ginnasio, nel 1925, appena sedicenne entra, spinto anche da uno zio che gli faceva da tutore, all’Accademia Navale di Livorno.
Qui, oltre alla formazione teorica per la quale, studiosissimo, si dimostra particolarmente portato, diventa ancora più esperto nell’arte della navigazione a vela, che già pratica. E durante le crociere estive sulle Navi scuola della Regia Marina, Teseo non manca di dare ottima prova di sé dimostrando di possedere un’intelligenza brillante, spiccate qualità di inventiva, eccellenza nell’arte marinaresca. E anche un temperamento decisamente fuori dal comune, duro, agile, cocciuto e fantasioso.
Tra i banchi della prestigiosa istituzione navale, inoltre, Teseo (che è un ragazzo dall’ottimo carattere) stringe legami forti di amicizia e cameratismo. Legami che, in alcuni casi, si tradurranno negli anni a venire in un eccezionale moltiplicatore del suo entusiasmo e della sua capace intelligenza nel progettare le armi, le strategie e i metodi di addestramento che caratterizzeranno, rendendoli immortali, i reparti d’Assalto della Marina italiana. E’ a Livorno, infatti, che conosce molti tra coloro che saranno suoi compagni nella grandiosa avventura di cui sarà protagonista.
Uno di quelli con cui lega di più è Italo Piccagli, al quale lo accomuna il destino di aver perso il padre in giovane età. Tra i due, anche per questo, si instaura fin da subito un rapporto di amicizia molto stretto, che durerà fino alla fine dei loro giorni.
“Stavolta non sentiremo uno di quei sermoni retorici di qualche trombone politico venuto a fare la passerella” dice Italo. Teseo annuisce e aggiunge: “Speriamo che non abbia quell’aria compiaciuta di sé stesso, come il nostro Ganascia” (il riferimento è a Costanzo Ciano, padrino dell’Accademia e futuro consuocero di Mussolini, celebre sia per la sua partecipazione alla Beffa di Buccari e ad altre imprese belliche sia per la sua fama di buona forchetta).
Questo scambio di battute tra i due ragazzi avviene poco prima di un evento che li segnerà entrambi: il 16 maggio 1927, in occasione della presentazione della Crociera estiva, agli allievi dell’Accademia viene concessa la possibilità di incontrare Raffaele Paolucci, l’Eroe che insieme a Raffaele Rossetti sul finire della Grande Guerra (era il 1 novembre 1918) ha forzato il porto di Pola.
In un’Aula Magna gremita, con Teseo e Pic (questo l’affettuoso soprannome datogli da Tesei) in prima fila, Paolucci racconta nel dettaglio la sua avventura. I due giovani bevono attentamente ogni sua parola. E da quel momento trascorrono ogni momento libero dagli studi accademici ad analizzare l’impresa, concentrandosi in particolare sulla torpedine semovente, ideata dallo stesso Paolucci e chiamata “mignatta”. Ed è proprio sviluppando il progetto di tale mezzo che Teseo, come vedremo, inventerà il Siluro a Lenta Corsa.
“Bisogna trasferire sulla torpedine di Rossetti le caratteristiche del moderno sottomarino! Deve potersi immergere, risalire, manovrare, fermarsi. In questo modo avremo un ordigno micidiale con il quale attaccare i porti nemici!” dice Teseo a Pic, che a stento riesce a contenere l’entusiasmo dell’amico, nel quale la scintilla di un fuoco fatto di spirito e pratica, ha acceso una fiamma che illuminerà tutta la sua vita. Anima e corpo dunque, che si fondono, in quel giovane elbano dal fisico asciutto, di media statura e con due occhi che emanano una potenza ipnotica, in un’energia estremamente intensa. Un’energia che lo spinge, un giorno d’inverno particolarmente ventoso, a lanciarsi in una dimostrazione di coraggio. L’episodio è mirabilmente condensato in uno scatto conservato nell’archivio fotografico della famiglia di Gustavo Stefanini, allora allievo dell’Accademia come Teseo ed in seguito suo grandissimo amico e compagno d’arme nelle fila degli Assaltatori della Regia Marina. L’immagine immortala Teseo in piedi alla formaggetta dell’albero maestro dell’Amerigo Vespucci. Ha le braccia spalancate come se fossero ali, come se fosse stato fotografato nel momento immediatamente precedente a quello in cui avrebbe spiccato il volo.
Poco prima un gruppetto di allievi, stringendosi nei cappotti per ripararsi dal vento, discuteva su quanto potesse essere alto l’albero di trinchetto. “Credete sia possibile per un uomo restare dritto in piedi lassù in cima con un libeccio come questo?” chiede ad un certo punto Teseo. Alle osservazioni dubbiose degli altri, il giovane elbano risponde: “Vi farò vedere che si può e che la paura, volendo, si vince”.
Terminati gli studi all’Accademia, Tesei frequenta, sempre a Livorno, il Corso Normale del Genio Navale. Dal quale esce, nel 1930, con il grado di Tenente. L’anno successivo si iscrive alla Scuola di Ingegneria Navale di Napoli e qui, al termine di un corso di studio di tre anni, consegue a pieni voti l’agognato diploma di laurea. Risultati evidentemente importanti, che per un ragazzo come lui rappresentano non allori su cui adagiarsi, ma stimoli a navigare sempre più avanti lungo la rotta che l’amore per il mare e il suo patriottismo gli indicano.
Teseo tra l’altro, oltre che estremamente dotato nell’ambito della sua specializzazione, si rivela anche assai eclettico: eccelle infatti nelle arti umanistiche, dipinge, disegna e realizza sculture. Senza contare la sua abilità per le scienze e la sua propensione per lo sport: ovviamente naviga, ma scia anche. E va a cavallo. Non riesce insomma a star fermo un minuto, sia materialmente sia intellettualmente: è cioè perennemente in moto, sempre impegnato nel fare qualcosa per sé o per gli altri, si tratti di togliere pietre da uno dei sentieri che collegano i paesini dell’Isola d’Elba o visitare la Galleria degli Uffizi, di cui conosce alla perfezione tutte le opere in essa contenute.
Dopo aver ottenuto, nel 1934, il brevetto presso la Regia scuola Palombari di San Bartolomeo, per il figlio di Ulisse e Rosa è giunto il momento di passare all’azione. Un momento che si concretizza, nel 1936, con l’assegnazione alla 1° Flottiglia Sommergibili di stanza a La Spezia, nei ranghi della quale porta a termine numerosi incarichi sia a bordo di unità subacquee, sia su mezzi di superficie. Nel tempo libero, inoltre, si dedica insieme al collega ingegnere Elios Toschi allo sviluppo di un progetto ideato già ai tempi dell’Accademia di Livorno, finalizzato alla realizzazione di un ordigno bellico di nuovissima concezione: il Siluro a Lenta Corsa. Teseo non manca poi di destinare energie e tempo anche al perfezionamento di attrezzature subacquee di vario tipo, necessarie per l’impiego concreto della sua invenzione.
Il suo entusiastico lavoro si interrompe quando decide di partire volontario per la Guerra civile spagnola, alla quale partecipa con l’incarico di direttore di macchina del Regio sommergibile Ialea (vi è stato imbarcato dall’agosto 1936 all’aprile dell’anno successivo). E si distingue in numerose azioni conquistando, per il suo valore, due Croci di guerra, la Medaglia di Benemerenza e la promozione al grado di Capitano del Genio Navale (dicembre 1936).
La sua esperienza di guerra in terra iberica Tesei l’ha raccontata in un diario, scritto a matita su un piccolo taccuino a quadretti. Sono pagine vive in cui parla della vita di bordo, fatta di azioni belliche, di turni di guardia, di pasti (non mancano accenni ai menù consumati a bordo dell’imbarcazione), di lavoro su carte, grafici, cifrati, tabelle. E anche di momenti liberi: “prima di andare a letto vado un po’ su. C’è una bellissima luna e mare abbastanza calmo. Guardo la stellina di Cassiopea. Alle 23 sento il giornale radio, poi me ne vado a letto. Anche stanotte sono franco, perché c’è stato un cambiamento nel servizio di guardia. Così mi infilo sotto le coperte tutto contento”. E ancora: “alle 8 monto di guardia. Intorno a noi ronzano diversi pescherecci. Devono essere unità di sorveglianza. Dalla loro bassissima velocità è possibile che rastrellino. Dopo pranzo il comandante mi fa vedere al periscopio Barcellona”.
Teseo il 25 dicembre scrive poi di un lancio di siluri (“si presume che il secondo abbia colpito”), di una fitta nebbia discretamente (“cacciamo fuori il naso ma non si vede niente”). Poi la cena di Natale, che per chi è a bordo “passa un po’ triste”, forse per la mancanza delle famiglie lontane. E subito dopo il “solito lavoro. Si ascolta la radio pieni di speranza. Dio voglia. A mezzanotte vado a montare di guardia”. Quella notte il tempo è “magnifico. Mare calmissimo e una luna splendida. Navighiamo verso Tarragona”. Qui, il 26 dicembre, lo Ialea attacca senza successo un piroscafo in rada. Poi si dirige verso Barcellona e, il giorno successivo, fa per attaccare un’altra imbarcazione ma desiste perché batte bandiera olandese. “Alle 20.30 emergiamo. C’è molta nebbia stasera. Nessuna notizia. Radio Barcellona ci copre di insulti in lingua italiana”.

Il 30 dicembre Teseo scrive: “Monto di guardia. Mentre ci stiamo passando le consegne, la vedetta di poppa grida: ‘una grossa massa nera a fanali spenti’. Rapida immersione. Ad un tratto, colonne d’acqua cadono dal soffitto in tutte le direzioni. Veniamo a galla. Il nemico è un grosso veliero tutto oscurato”. Il sommergibile italiano comunque riesce a sganciarsi e il giorno successivo, l’ultimo del 1936, mentre “saliamo a quota periscopica si sente un urto. Ci hanno speronato. Quel porco di francese ci ha fregato il periscopio di esplorazione. Se eravamo più su ci fregava per le feste”. E infine: “dopo molte manovre riusciamo a staccarci dal fondo. Dirigiamo su La Spezia. Sono un po’ triste”.
Tornato in Italia, Teseo riprende, instancabile, il lavoro con Toschi. Anche perché nel frattempo i vertici della Marina hanno ufficialmente approvato il collaudo dei primi prototipi di Siluro a Lenta corsa. Che però non dà risultati pienamente soddisfacenti: i mezzi realizzati non risultano infatti completamente affidabili. Ci sono ancora molte cose da mettere a punto e il giovane elbano è pronto a dedicarvisi con entusiasmo e competenza.
Conclusioni
“L’ho sempre assimilato ad un falco, libero e con il volto proteso verso qualche meta lontana. Gli occhi in particolare erano molto penetranti, scurissimi. Dava un’impressione di volitiva fierezza”. Sono parole di Lucia, zia di Teseo, che racconta a Claudio Costa anche di come suo nipote fosse spericolatissimo e di quanto gli piacessero i manicaretti che trovava in tavola quando andava a trovare la famiglia a Firenze.
Chi ha conosciuto il giovane elbano parla inoltre di lui come di una “enciclopedia vivente”, con un acume intellettuale eccezionale, una fantasia fuori dal comune, un credo ed una volontà che impegnò non solo nel combattere, ma anche nell’innovare e nello sperimentare. E ancora: era “un essere straordinario, come se ne può incontrare uno ogni cento anni. Aveva una forza spirituale enorme, era un uomo al di là di tutto. Di fronte a lui sembravano tutti piccoli. Avrebbe potuto emergere in qualsiasi campo, avrebbe potuto diventare un santo, tanta era la luminosità del suo spirito”.
Altri ancora lo hanno descritto come un uomo esigente fino al perfezionismo, leale, generoso, altruista, ironico, dotato di assoluta purezza d’animo, integrità morale, forza di carattere, attaccamento alla Patria e alla bandiera.

Il comandante Borghese ne ha ricordato “il profilo tagliente, addolcito dai profondi occhi scuri, in cui si legge la maturità del pensiero e la fermezza del carattere”. E ha definito il suo comportamento come “vertice del più sublime e distaccato misticismo”.
“Faceva tutto con naturalezza e disinvoltura. Era un uomo eccezionale, come ne viene uno ogni cent’anni. Uomini rari, che precorrono i tempi”. Dotato di vivissima intelligenza e altrettanto sviluppata fantasia, progetta addirittura una spedizione sottomarina al Polo Nord con foratura della calotta polare, anticipando di circa trent’anni l’impresa del sommergibile americano Nautilus. “Aveva ideato una trivella per i ghiacci, che provò a La Spezia. Andò benissimo, ma non se ne fece nulla. E poco mancò che anche i mezzi d’assalto venissero messi in disparte e Tesei si prendesse la patente di matto. Come lo definisco io? Era nato eroe e non lo sapeva” dice Luigi De La Penne, uno degli “Apostoli” di Bocca di Serchio. Che aggiunge: “Quando si perdono amici come lui, ci si accorge di essere soli. Si apre un buco e il buco resta fino alla fine”.
Un commosso Gino Birindelli racconta poi che “di Tesei ricordo le ore in bianco che, in prigionia, ho passato quando ho saputo della sua morte. Era intellettualmente vivacissimo e spiritualmente enorme. Mi vanto di essere stato suo amico”. E spiegando quello che per lui è il senso dello “Spirito del Serchio”, dice tra l’altro che “la forza di un grande uomo è la volontà, quella che permette di strappare le stelle dal cielo, di porre il cielo come solo limite alle proprie capacità ed aspirazioni”.
Teseo Tesei è stato sicuramente un Uomo che, nel corso di tutta la sua vita – breve ma costellata di numerose difficili prove – ha lanciando la sua volontà verso il cielo. E lo ha fatto sempre. Anche e forse soprattutto quando, per dirla con il motto del Mezzi d’Assalto, si trattava di navigare “Con poca prora per l’insidia vasta”.