Quello che segue vuol essere soprattutto un gioco: un puro e semplice rovesciamento, nella maniera più “speculare” possibile, delle enunciazioni che furono alla base del Futurismo e del suo “Manifesto”, pubblicato a Parigi su Le Figaro da Filippo Tommaso Marinetti il 20 febbraio 1909, ma anticipato sulla Gazzetta dell’Emilia il 5 dello stesso mese e anno.
Un gioco dei contrari, dicevo, a partire dal titolo, provocatoriamente – e semplicisticamente – ispirato al mero culto del Passato, come l’Altro lo era a quello del Futuro; tuttavia, come in tutti i giochi, anche in questo non mancano una componente di serietà e una di curiosità. Cosa verrà fuori, mi sono chiesto via via che procedevo alla stesura dei singoli punti, quale “crociata” culturale, quale articolata proposta esistenziale potrà sortire da un simile capovolgimento di valori, di istanze, di sensibilità? Lo si scoprirà, mi auguro, soltanto alla fine dell’operazione, e la cosa potrà servire, fra l’altro, come bussola ulteriore, per cercare di orientarsi nella gran confusione dei ruoli, delle idee, degli schieramenti, delle identità.
Può darsi che alla fine del gioco emerga il profilo – generico e astratto quanto quello, ad esempio, del “partner ideale” di certi test da rotocalco estivo – di un soggetto moderato fino alla banalità, magari capace di una sorta di grigio “eroismo quotidiano”, agli antipodi del coloratissimo, fiammeggiante modello futurista; oppure ne potrà risultare il profilo di un “passatista” in senso deteriore, dell’odiatore del nuovo per paura, “a prescindere”. Non è però escluso che, unendo i puntini con le linee, come nel classico gioco dei cruciverba, ci si trovi alla fine di fronte al disegno di un tipo umano desideroso di ritrovare, modificare e trasmettere i valori sui quali si è fondata la nostra civiltà. Il tipo del tradizionalista, o forse del rivoluzionario-conservatore.
Non sempre è stato possibile limitarsi ad usare il dizionario dei sinonimi e dei contrari, anche perché la furia iconoclasta dei futuristi poteva essere espressa con frasi secche (tranne che nell’ultimo punto), mentre il pacato recupero di quelli che sembrano diventati, nel frattempo, disvalori, richiede il ricorso al ragionamento e dunque a frasi più articolate.
Eppure, almeno un tratto in comune sembrano averlo i due “manifesti”: entrambi non sono catalogabili, rispetto alle categorie del tempo in cui sono stati scritti, nelle categorie della “destra” e della “sinistra”, oggi come allora utilizzabili più per comodità e pigrizia che per effettiva rispondenza a canoni e “idealtipi”. E’ vero, il Futurismo fu una delle matrici culturali del Fascismo, ma questo, nella sua tragica complessità, può ancora essere definito “di destra”?
Nell’Endecalogo che segue (ecco un vocabolo che forse non sarebbe dispiaciuto a Marinetti & Co.) la manifestazione di intenzioni – come del resto nel ben più illustre originale – supera di gran lunga l’aspetto prescrittivo. Insomma, a dispetto del vocabolo che pure ho impiegato, non di “comandamenti” si tratta, quanto dell’indicazione di modelli, di uno stile di vita personale, ma con evidenti ricadute collettive.
Ora, proprio il conato rivolto alla ri-fondazione di un comune sentire costituisce – oggi molto più di cent’anni fa – il punto debole della mia giocosa proposta. Le nostre società si presentano infatti come agglomerati di monadi in apparenza comunicanti, ma di fatto isolate, nel frastuono di una quotidianità grigia, sotto le paillettes di una finzione mediatica onnipervadente, nella melassa di abitudini per lo più ciniche, spente, timorose eppure aggressive. E tutto questo non solo in Europa, in Nordamerica, in Giappone, ma, temiamo, anche negli smisurati paesi che un tempo si sarebbero definiti “emergenti”, quali la Cina, il Brasile, l’India (e l’Australia, il continente lontano per antonomasia? E la Russia?).
Di emozioni e reazioni radicate nella profondità di un retaggio specifico e condiviso, della percezione di un destino comune sarebbe dunque illusorio parlare e ancor più illusorio sarebbe fondare su tali basi una grande politica, non soltanto nella nostra fatua e disperata Italia. Già, la politica, e i suoi disgraziati “operatori”. La politica dei nostri giorni, da un capo all’altro del pianeta, si occupa – e si preoccupa – del PIL e dei tassi d’interesse, molto più che dell’educazione, della ricerca, della elaborazione di nuovi modelli di convivenza delle civiltà – nella salvaguardia delle specificità culturali – di un più adeguato rapporto con l’ambiente.
Nei casi migliori, la politica riesce a tamponare alla meglio le istanze pre-politiche, ad esempio, quelle che perseguono la sicurezza dei cittadini, cercano di tutelarne la salute e la libertà di movimento: come dire, la politica, quando va bene, cerca di far arrivare i treni in orario, di costruire ospedali efficienti, di illuminare e pattugliare le strade. Quanto alle sue funzioni fondamentali – quelle legislative e di governo – la politica si lascia surrogare sempre più spesso da altri soggetti, siano essi la Magistratura, la Finanza, la Pubblicità, Internet e tutti i mass media e le più disparate lobbies.
D’altro canto. il Cittadino medio non appare migliore dei suoi governanti, sballottato com’è fra le angosce di fine mese e le chimere dei reality e dei talk show, fra lo sballo e l’insofferenza per qualsivoglia disciplina, a scuola, come nel lavoro o di fronte alle grandi questioni morali.
Invochiamo allora la nascita di un “Uomo nuovo”? Questa ricorrente utopia sembra oggi più che mai fuori tempo e fuori luogo; ma chissà che il “ripasso” di qualche categoria ritenuta obsoleta non ci induca a riflettere, così, tra il serio e il faceto, tanto per fronteggiare meglio, da soli e insieme, questo presente al tempo stesso tempestoso e paludoso. E ora, vediamoli insieme manifesto e “contro-manifesto”:
1. Noi vogliamo cantare l’amor del pericolo, l’abitudine all’energia e alla temerità.
Noi vogliamo cantare l’amore per la sicurezza, l’abitudine alla quiete ed alla ponderazione. 2. Il coraggio, l’audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia. Il rispetto per la paura, la prudenza, la capacità di obbedire saranno elementi essenziali della nostra poesia quotidiana. 3. La letteratura esaltò fino ad oggi l’immobilità pensosa, l’estasi ed il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno. La letteratura ha esaltato fino a ieri l’immobilità penosa, l’estasi e il sonno. Non crediamo che, per contrasto, si debbano cantare il movimento aggressivo, l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo e il pugno. Pertanto esalteremo l’immobilità tout court, l’estasi e il sogno. 4. Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova; la bellezza della velocità. Un automobile da corsa col suo cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo… un automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Nike di Samotracia. Noi affermiamo che la magnificenza del mondo, già arricchita di una bellezza nuova – la bellezza della velocità – abbia bisogna di riscoprire il fascino di una bellezza antica: quella della lentezza. 5. Noi vogliamo inneggiare all’uomo che tiene il volante, la cui asta ideale attraversa la Terra, lanciata a corsa, essa pure, sul circuito della sua orbita. Noi vogliamo inneggiare all’uomo che abbandona il volante, e magari anche il telecomando, nella ricerca del suo cammino fatale. 6. Bisogna che il poeta si prodighi con ardore, sfarzo e munificenza, per aumentare l’entusiastico fervore degli elementi primordiali. Bisogna che il poeta si prodighi con fredda tenacia, frugalità e generosità, per contenere l’entusiastico fervore degli elementi primordiali. 7. Non v’è più bellezza se non nella lotta. Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può essere un capolavoro. La poesia deve essere concepita come un violento assalto contro le forze ignote, per ridurle a prostrarsi davanti all’uomo. Non vi è bellezza se non nella capacità di conciliare gli opposti. Nessuna opera che non illustri la tragedia dell’aggressività può essere un capolavoro. 8. Noi siamo sul promontorio estremo dei secoli! … Perché dovremmo guardarci alle spalle, se vogliamo sfondare le misteriose porte dell’impossibile? Il Tempo e lo Spazio morirono ieri. Noi viviamo già nell’assoluto, poiché abbiamo già creata l’eterna velocità onnipresente. Noi siamo sul patrimonio estremo dei secoli! Poiché, dopo avere creato l’eterna velocità onnipresente, siamo al limite del dinamismo senza obiettivo. 9. Noi vogliamo glorificare la guerra – sola igiene del mondo – il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna. Noi vogliamo glorificare l’alternanza di guerra e pace, sola igiene del mondo, e con essa il militarismo e l’esercizio delle virtù civili, il patriottismo della terra e quello dei valori, il gesto distruttore e quello che ricostruisce. 10. Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d’ogni specie, e combattere contro il moralismo, il femminismo e contro ogni viltà opportunistica e utilitaria. Noi vogliamo rifondare i musei, le biblioteche, le accademie d’ogni specie e combattere contro l’immoralismo, il femminismo zoppo e contro ogni spregiudicatezza opportunistica o utilitaria. 11. Noi canteremo le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa: canteremo le maree multicolori e polifoniche delle rivoluzioni nelle capitali moderne; canteremo il vibrante fervore notturno degli arsenali e dei cantieri, incendiati da violente lune elettriche; le stazioni ingorde, divoratrici di serpi che fumano; le officine appese alle nuvole per i contorti fili dei loro fumi; i ponti simili a ginnasti giganti che scavalcano i fiumi, balenanti al sole con un luccichio di coltelli; i piroscafi avventurosi che fiutano l’orizzonte, e le locomotive dall’ampio petto, che scalpitano sulle rotaie, come enormi cavalli d’acciaio imbrigliati di tubi, e il volo scivolante degli aeroplani, la cui elica garrisce al vento come una bandiera e sembra applaudire come una folla entusiasta. È dall’Italia che noi lanciamo per il mondo questo nostro manifesto di violenza travolgente e incendiaria col quale fondiamo oggi il FUTURISMO perché vogliamo liberare questo paese dalla sua fetida cancrena di professori, d’archeologi, di ciceroni e d’antiquari. Già per troppo tempo l’Italia è stata un mercato di rigattieri. Noi vogliamo liberarla dagli innumerevoli musei che la coprono tutta di cimiteri.» Non canteremo più le locomotive dall’ampio petto, il volo scivolante degli aeroplani e nemmeno il moto perpetuo virtuale. E’ dall’Italia che lanciamo questo manifesto di energia tranquilla e coinvolgente, col quale, forse, fondiamo oggi il Passatismo. |
(Filippo Tommaso Marinetti, Manifesto del Futurismo, Le Figaro, 20 febbraio 1909 e, in neretto, Manifesto del Passatismo, di Giuseppe Del Ninno, febbraio 2019). |
P.S. Naturalmente, si sarà capito che non ho alcuna intenzione di fondare alcunché: l’ho detto, è solo un gioco…