Sono ormai vasti i danni causati dalla massificazione dei processi culturali. La sublimazione televisiva dell’arte e della letteratura genera prodotti intellettuali mostri. A questo punto i danni, al patrimonio delle idee e alla produzione artistica, hanno i caratteri degli eventi storici tristi. E’ avvenuta infondo una rivoluzione. Una ‘rivoluzione inavvertita ’ (R. Simone) per la quale si continua a scrivere che il prodotto letterario è obsoleto, è solo un fenomeno di mercato, la poesia è morta, e non esistono più autori se tutti scrivono sul web.
Eppoi, vai!, non si vendono i libri, non si leggono libri di versi, quasi quasi chiudiamo le biblioteche! La poesia dunque è defunta e l’esperienza poetica è stata definitivamente sostituita dalla canzone, dalle composizioni rap, e dalle confuse variazioni della dimensione lirica. Il dibattito così sembra concluso. Gli studiosi accendono solo qualche fiammella sulla trasformazione dei linguaggi poetici. Con buone pace di tutti, l’esperienza poetica è dichiarata inutile e la sua dimensione antropologica – individuale e insieme collettiva, analitica e pure ideologica – è scartata, dimenticata, affogata su facebook..
Dovremmo chiederlo a Marcello Veneziani: La fine delle idee coincide con la morte dell’esperienza in versi? Con questa premessa è possibile domandarsi se la battaglia, per la difesa dell’esperienza intellettuale della poesia, appartenga a quella sensibilità che non è disponibile alla svendita del patrimonio letterario italiano o alla discesa nel dimenticatoio storico dei poeti del novecento o all’orgia del web che massifica linguaggi e tradizioni.
Siamo stanchi dei paradigmi dei docenti di sinistra, i quali non furono e non sono in grado di riconoscere che grandi poeti furono D’Annunzio, Pound, Brasillach, Mandel’ stam, Marinetti e Pasolini, sì proprio quel poeta che si batté, con intelligenza immensa , in difesa dei poliziotti e delle memorie storiche italiane. La bandiera della difesa della produzione di versi dovrebbe essere levata da chi riconosce che le esperienze dei linguaggi, quelli poetici, possono rimettere in gioco la dignità delle idee o l’appartenenza comunitaria; un’appartenenza che, ad esempio, chiunque può provare con la lettura di una lirica di Ungaretti. E, naturalmente, per individuare delle esperienze liriche che parlino del recupero della memoria collettiva o della conservazione dei valori non è essenziale ripartire dai vecchi Moretti o Palazzeschi; è sufficiente affacciarsi su qualche antologia contemporanea per scoprire che vi sono poeti cattolici, non di sinistra, che, con le loro opere, si battono per una cultura che riconosca la centralità dell’ educazione morale nella scuola e nelle famiglie.
Continui pure lo sberleffo verso i poeti! Continui anche la celebrazione sull’inutilità della poesia! Però qui si aspetta qualcuno che, interpretando Brecht , vorrà scrivere ‘Sfortunato il paese che non ha bisogno di poeti!’
In tale ambito socio-culturale appare così il principio per schierarsi, per ordinare i piani dell’ ultima battaglia, quella contro il degrado morale contemporaneo, quella di uomini e donne che, con il disinganno della sconfitta nel cuore, restano disponibili alla conservazione di una dignità italiana; uomini e donne che si osservano nello specchio della solitudine politica e dentro gridano che un politico non può e non deve entrare/uscire dai tribunali o che la poesia rappresenta una ‘frontiere’ dell’espressione critica, spirituale, quindi non commerciale, cioè una ‘frontiera’ infondo alla quale osservare e conoscere la realtà.
E’ il momento di discutere sull’idea di poesia. Un’idea a volte generica, non di moda, sempre più minimalista. Un’idea, non concepita dal vasto pubblico, che continua a far stampare raccolte di poeti, in cui sono presenti voci sì vive, ciononostante troppo lontane da richiami generazionali, dalla realtà sociale, dalle disperazioni quotidiane e storiche.
In questo quadro si fa più chiara la presenza di un luogo comune della critica, vale a dire: se uno scrittore decide di manifestarsi come ‘produttore’ di versi, in questa occasione il suo lavoro in rime diventa minore e, immediatamente, meno collegabile alla società contemporanea.
Ma è questo il momento per guadare, con i versi, alla contemporaneità. Nella sua ultima opera, Giovanni Raboni, pochi anni fa, ha prodotto un vero ‘testamento poetico’ in cui i collegamenti – tra l’artista il cittadino e la società – sono un punto di partenza per ri-concepire la creatività lirica.
Raboni – in ‘Ultimi versi’ (2007) – ha concluso la sua carriera di uomo e di artista con un appello. Leggendo le sue poesie, si ha forte la sensazione di incontrare l’arte in versi che desidera influenzare, anche politicamente, il suo lettore; si ha così la nostalgia di ritornare a discutere, a schierarsi. Peccato che Raboni sia stato ‘uomo di sinistra’!
“ Nel Trionfo dell’Impudenza
il cavalier Menzogna
disdice quel che ha detto il giorno prima
ma lo fa confermare
da uno dei suoi scherani o manutengoli
per ottenere simultaneamente
l’effetto della prudenza e dell’audacia,
del moderatismo e dell’estremismo,
del perbenismo e della beceraggine:
tanto, lo si vede pensare
dietro la facciata di gomma o plastica
che gli serve da faccia,
mille volte più della verità
vale la garanzia di un sorriso.”