Stato di crisi, espressione di conio sociologico, indica in modo compiuto il senso del nostro esistere, del nostro, in senso etimologico, stare fuori, senza conoscere il nostro da dove né, tantomeno, il nostro per dove. La crisi da sempre ha connotato di sé l’essere al mondo: la vita è, per statuto ontologico, faticosa. Oggi lo è certamente in modo eclatante. Viviamo un’età senza certezze, riferimenti saldi, sia sotto il profilo esistenziale che comunitario. Tale è la ‘malattia’ del tempo in cui ci è dato vivere, la post-modernità. I nostri, per dirla con Bauman, sono anni liquidi, prodotto delle nuove modalità produttive del capitalismo cognitivo e transnazionale. In epoche siffatte, la letteratura e il pensiero sono chiamati a svolgere un ruolo essenziale: registrare sismograficamente i movimenti tellurici che animano, dall’interno, il presente, per rintracciarvi, non solo le cause che li hanno determinati, ma anche eventuali uscite di sicurezza.
A tale compito risponde un volume di recente pubblicazione di cui è autrice Angela Flori, Equilibri precari, da poco nelle librerie per i tipi de il seme bianco (per ordini: info@ilsemebianco.it, euro 13,90, pp. 139). Si tratta di una silloge di racconti brevi. Non poteva, del resto, essere diversamente: al nostro tempo, stante la lezione di Heidegger, è preclusa la via del sistema e della totalità e pertanto non ci è dato produrre opere conchiuse, ma suggerire itinerari. Ciò che tiene insieme i microcosmi esistenziali che il narrato presenta è, in ultima istanza, l’homo vacuus, succedaneo dell’homo oeconomicus, alle prese con un quotidiano dominato dall’aura salvifica delle merce. Aura caratterizzata dalla paradossalità. Ogni merce, infatti, si rivela deludente e rinvia ad un successivo consumo, in un processo di correlazione di coscienza nel quale, ciò che viene meno, è la possibilità di una vita davvero persuasa. Viviamo nella costante dispersione di noi stessi, dei nostri sentimenti, delle nostre passioni. Siamo attraversati dall’insecuritas e costruiamo rapporti centrati su equilibri precari.
Per questo, l’incipit del libro, il suo primo racconto, si sofferma sulle vicende di una precaria, in senso lavorativo, che riesce a dare momentanea sistemazione alla propria vita solo per tre mesi all’anno, periodo nel quale lavora per il call center dell’‘azienda del benessere’, 6Okay. Flori è attenta osservatrice della realtà, del mondo in cui vive, lo si comprende perfino dal nome della ditta ora ricordata. Il benessere oggi è qualcosa di assolutamente relativo, non ha più nulla a che fare con l’antica salus, ma è commisurato, un tanto al chilo, alla prestanza fisica di narcisi, uomini e donne che abitano e si crogiolano, senza eccessive pretese, nello stato di crisi. Il precariato, non solo economico, è al centro di un altro testo emblematico, Viaggio verosimile nel mondo assurdo della scuola. Queste pagine narrano l’iter tragi-comico di una docente di Lettere, che ottiene l’agognato incarico annuale in una scuola superiore. Impedimenti burocratici, insipienza legislativa, devono essere superati lungo tale strada. Quando l’incarico è ottenuto, l’impatto con la nuova realtà, con i colleghi, con le riunioni dei Dipartimenti disciplinari, è, quantomeno, demotivante. Tali consessi realizzano il trionfo della noia, per cui, quando qualcuno propone la pausa caffè: «Tra assensi mugugnati o semplicemente accordati con l’inchino del capo accennante, s’alzano in molti, trascinano sedie, urtano banchi, transitano sparpagliati tra le file, con lo stesso strepito […] delle scolaresche quando migrano dall’aula» (p. 80). E gli alunni? «Sono studenti senza studio, iniziativa, fatica, contributi» (pp. 84-85) pertanto, gli equilibri su cui si regge la scuola. non possono che essere attraversati dalla precarietà.
Non poteva mancare un racconto dedicato al tema del genere e dell’identità sessuale, esemplificato fin dal titolo, L’odore di fragole rosse, sinestesia pascoliana che allude alla preclusione dell’esperienza sessuale. E’ una storia tragica che porta con sé un carico di dolore inenarrabile. Si tratta della presa di coscienza di Lorenzo, adolescente che decide di diventare Olimpia, sottoponendosi alla trafila burocratica e medica, necessaria per realizzare giuridicamente e biologicamente il cambio di sesso. E’ un’odissea di timori, di dubbi, di turbamenti, che coinvolgono non solo il protagonista, ma la famiglia. Ne nasce un confronto difficile, un corpo a corpo con il Sé, vissuto dal giovane sulla propria pelle. Il narrato dà voce a questo equilibrio precario, realizzatosi nell’: «attimo esatto in cui (il protagonista) si disse che (Lorenzo) sarebbe morto senza rinunce, anzi con il sollievo delle possibilità che in fretta si fanno e si disfano» (p.15) e, pertanto: «Olimpia è tanto forte quanto Lorenzo aveva la pelle sottile alle ferite. Lei sa cacciare via le lacrime, una dopo l’altra » (p. 19). Ce lo auguriamo, ma temiamo che la vita persuasa, oltre il pianto, esiga l’esplodere del riso.
L’uomo vacuus è sovrastato da un destino ineluttabile: sopportare l’insensatezza nella quale vive, il mondo della post-modernità. L’amore che, etimologicamente, allude alla condizione del senza morte, in una realtà siffatta, è dimidiato, privo di slanci. E’ sentimento senza passione che ha smesso di guardare al sempre e all’eterno, per accontentarsi di un’qui ed ora deludente, feriale. E’ ciò che accade ai protagonisti de, L’amore è una risposta, Luca e Mara. L’allergia per il pelo dei gatti di cui soffre il primo, è segno tangibile della sua impossibilità di comprendere nel profondo la seconda, inveterata gattofila. E’ la storia di un amore sospeso. Mara vive nell’attesa di parole che non arriveranno mai dal compagno, il loro è un amore ormai afono: «Le parole non si possono cancellare: sono spire di serpenti. Se le dici non puoi sbarazzartene, solo ciò che nessuno dice non esiste per davvero». Entrambi vivono in una finzione, che consente a Mara di sperare nel domani, tacitando la mesta realtà dell’oggi.
Per questo, vero paradigma della silloge, è lo scritto, Dismisura. Narra di due uomini sospesi sul vuoto, simboli della condizione umana esposta al nulla. Angela Flori realizza una descrittiva dell’insolitudine contemporanea ponendosi lungo la sequela inaugurata da Calvino e dalla sua Avventura di due sposi. Il merito maggiore del volume ci pare essere di natura linguistico-stilistica. L’autrice, conscia con Benjamin che solo il frammento è totalità, che l’Uno si dà solo nei molti, con prosa affabulatoria e accattivante lega, nonostante tutto, sia i lettori che i protagonisti del narrato, alla vita. Lo fa ricorrendo alla seduzione del dire che, solo, può riunirci, sensualmente, ai ritmi pulsanti del mondo.