Prima di aver letto il libro di Stenio Solinas, il migliore e il più rifinito di tutti i suoi, Genio Ribelle. Arte e vita di Wyndham Lewis (Neri Pozza, 2018, pp. 221, euro 18), non avevo idea di chi fosse il soggetto dell’opera. Per me di Lewis nella letteratura inglese esisteva l’irlandese Clive Staples, del quale da ragazzo – ma non sono libri per ragazzi – avevo letto i due romanzi di “fantascienza” – e non è fantascienza commerciale – Lontano dal pianeta silenzioso e Perelandra. Wyndham nacque in Canada nel 1882 e morì a Londra nel 1957: cieco, ammalato, povero com’era sempre vissuto: e indomito. A guardare la foto giovanile in copertina, è un bellissimo uomo; un dandy, uno snob, un omosessuale. Non era alcuna delle tre cose. Era uno spirito potente, dall’eros eterosessuale violento ma portato a disprezzare la donna siccome colei che distrae l’artista dalla creazione. Era un poeta di autentica avanguardia: non quella da manifesto. In Italia uno solo dei suoi libri venne tradotto ed è introvabile. Ma la sua opera è tuttora sconosciuta, o misconosciuta, nella sua patria; un italiano, con una ricerca paziente, appassionata, di grandissima competenza, gli rende giustizia.
Per comprender chi sia, basti dire che gli amici della sua vita, nonostante continui litigi, sono stati Ford Madox Ford, Ezra Pound, Thomas S. Eliot. Di questi due ha dipinto intensissimi ritratti, ma quello dell’autore di Terra desolata venne rifiutato dall’Accademia pur essendo concepito giusta una tecnica tradizionale. Come pittore, Lewis è stato forse il primo dei “futuristi”, sin dall’inizio del Novecento. Egli si definisce un “vorticista”. I quadri in questo stile anticipano le cose più belle di de Chirico e Depero, angolosi, geometrici, con un’idea cromatica ch’è solo sua. I ritratti, come quello di Edith Sitwell, dietro un’apparente correttezza possono esser crudelissimi.
Lo scrittore ha forse prodotto troppo, romanzi, novelle, saggi, anche per la cronica miseria in che viveva. Ed è dura la miseria quando non si nasce poveri, quando si vive nella upper class – senza esser un giullare di questa, come gli artisti inglesi hanno sovente fatto. Ma è un pensatore politico inclassificabile, tra fascismo e comunismo, alla fine nemico di ambedue e vittima della sinistra. Fu coraggioso combattente nella Prima Guerra. Scompaginava, con la sua violenza, tutte le categorie politiche e sociali; e dell’Inghilterra fra le due guerre odiava l’anacronistico classismo, uno dei fattori che l’avrebbe condotta alla rovina. La sua vita fu una perenne lotta contro la sventura. Fra i suoi nemici, gli snobboni del “gruppo di Bloomsbury”, possessori di ogni privilegio che non ebbe mai; e il sangue gli ribolliva all’idea che, dall’alto di tali privilegi, potessero essere tutti filocomunisti. Il caso della guerra di Spagna, troppo complesso per esser classificato come una lotta fra il Bene e il Male, è da Solinas magistralmente ricostruito e diviene un emblema.
Un amico mi ha in questi giorni donato un bellissimo romanzo, L’intoccabile, di John Banville (Guanda). È la storia di Antony Blunt e dei suoi amici, provenienti dalle elitarissime public schools, omosessuali, spie dell’Unione Sovietica fra le due guerre e dopo. Andrebbe letto insieme col libro di Solinas: i due si integrano. Dal quadro realistico del grande romanziere irlandese emerge un particolare che mi ha colpito: l’incredibile sporcizia personale di questi snobs, unti, puzzolenti, dall’alito che sapeva di aglio, fumo e alcool. Un altro motivo perché Lewis li odiasse.
*Da Il Fatto Quotidiano del 16.12.2018