Una intervista per iniziare a fare chiarezza sulla crisi turca, oltre la propaganda occientalista ***
«La rivolta di OccupyGezi non ha nulla a che vedere con le primavere arabe». Marika Guerrini, orientalista e autrice di vari libri sul mondo arabo e sull’Afghanistan, è fermamente convinta che la Turchia non sia un Paese in cui le libertà fondamentali siano a rischio.
La protesta è nata per scopi ambientalisti o per la libertà?
Tutto è iniziato con una protesta ambientalista, simile a quella dei No Tav italiani. Erano dieci ragazzi che si erano accampati a piazza Gezi per protestare contro la costruzione di un centro commerciale che effettivamente è inopportuno costruire lì vicino al museo di Ataturk. Lo spirito era proprio quello del No Tav ma a un certo punto, al quarto giorno, si sono uniti gli ex sindacalisti, i gay e gli oppositori di Erdogan. Solo allora c’è stata l’escalation della polizia. La mancanza di libertà è un finto problema.
Qual è la situazione interna della Turchia?
La Turchia è da sempre un Paese islamico moderato, con una costituzione fortemente laica. Le donne nella Capitale sono libere di girare senza velo. Certo, se poi andiamo nei paesini non è così ma ancora oggi in Sicilia ci sono donne che portano il velo. I giovani di Istanbul girano fino a notte fonda bevendo alcol.
Ma allora è questo il problema? La legge sull’alcol?
No, quello è un finto problema. Il premier Erdogan non ha proibito l’alcool ma l’ha soltanto ridimensionato, vietandone l’uso la notte e la vendita di fronte alle scuole. Lui ha capito cosa sta succedendo anche in Occidente dove l’alcool sta diventando la nuova droga. Se si gira per le capitali europee come Barcellona o Roma ogni notte ci sono risse continue, basti pensare a quello che succede a Campo dei Fiori.
Ha quindi ragione l’opposizione nel sostenere che Erdogan vuole attuare un’islamizzazione dolce?
No, Erdogan, malgrado il suo egocentrismo, è un moderato che non ha mai modificato la costituzione in senso islamico. Lui la settimana scorsa, di ritorno dal suo viaggio in Nordafrica, ha invitato i sostenitori che lo attendevano in aeroporto a tornare a casa e a evitare scontri di piazza con i manifestanti. Al momento in Turchia non c’è nessun pericolo di islamizzazione. Certo se Erdogan fosse fatto fuori la situazione potrebbe cambiare perché l’attuale premier rappresenta il punto di equilibrio tra le due tendenze della Turchia: quella più vicina all’Occidente e quella più vicina al mondo arabo. Se si rompe questo equilibrio c’è un duplice rischio: da un lato quello di islamizzazione e dall’altro quello di un’occidentalizzazione della Turchia esattamente come è avvenuto nei Paesi dell’Est dell’ex Unione sovietica.
E allora perché colpirlo?
Perché Erdogan sta iniziando a dire alcuni no e perché, aldilà delle scaramucce temporanee, tra la Turchia e la Siria ci sono affinità storiche così come tra lui e Assad c’era e c’è un’amicizia. L’obiettivo è far fuori il presidente siriano. Dietro le proteste c’è tutto un movimento economico internazionale di cui gli Stati Uniti e Israele sono solo la punta dell’iceberg. Lo stesso Erdogan, infatti, ha dichiarato che ci sono molti infiltrati. A monte c’è il desiderio da parte dell’Occidente di allargare i propri domini e frenare l’avanzata della Cina che si sta già muovendo in Afghanistan e Pakistan. Non dimentichiamoci che la Turchia fa parte della Nato ed è una potenza regionale.
Ma Erdogan non è un amico degli Stati Uniti?
Si, ma la loro è un’amicizia sempre tra virgolette. Il primo commento fatto dagli Stati Uniti, ancor prima che parlasse Kerry, è stato: senz’altro la Turchia è una potenza che, a lungo termine, saprà essere meno restrittiva e accogliere le manifestazioni. Questa è una grandissima ipocrisia che Erdogan ha subito ripreso e dopo qualche giorno si parlava di lui come di un dittatore.