È stata la settimana del fascistometro. Che come nembo di tempesta s’è abbattuto sugli smartphone degli italiani. A loro avvisare di una feralissima notizia: c’è un po’ di fascio in ognuno di noi, compreso Massimo Gramellini.
Le frasette messe in fila su L’Espresso le hanno compulsate tutti. Analizzate, passate al setaccio della filologia politica. Sapete già, dunque, che lì dentro c’è di tutto. Roba da leghisti puri e duri, roba da salvinisti dell’ultim’ora. Roba da grillini del Meet-Up, roba da manettari anni ’90, missini e no. Roba da nulla, roba da renziani. Di tutta l’erba un fascio (appunto) di presunti fascismi.
Ovviamente, i gonzi (anche chi scrive, ahimé) ci son caduti. Vedete, la questione è molto più venale di quanto appaia. Altro che sofismi, altro che dilemmi cornuti. È vicenda di grana vile, di un pugno di copie in più da assicurare – con azzeccata campagna media (chapeau) – al nuovo libro della femminista Michela Murgia.
Il problema, perciò, non è né può essere una boutade fatta apposta per vender libri a chi li compra. Il dramma sta nel dissesto ideologico di una sinistra che ormai non sapendo più a che santo votarsi non sa far altro che vivere in una perenne rievocazione storica. Archiviato il comunismo, archiviato il laburismo cool alla Tony Blair, archiviato il socialismo latinoamericano, negli scandali che hanno affogato il Brasile di Lula. Non resta, dunque, nient’altro che aggrapparsi ai ricordi, all’antifascismo in assenza di fascismo, a Capoccioni a Testa in Giù, alle Foibe che son belle da Trieste in giù. A odiare per, dicono, troppo amore.
Ecco, il vero dramma è questo: una sinistra con un orizzonte autolimitante, ridotta all’ultraconservatorismo dello status quo. In attesa di tempi migliori. Che peccato.
Il ‘fascistometro’ non può che avvivare autentiche e sincere pulsioni fasciste….