Non è la libertà che manca, mancano gli uomini liberi.
La malinconica notazione di Leo Longanesi fa sempre testo tenendosi sulle generali ma neppure può dirsi che sia mai mancata la “libertà di stampa”.
La questione è un’altra: non c’è una stampa intellettualmente libera.
Mario Calabresi, direttore di Repubblica, al culmine di un fuoco polemico – uno scontro con Luigi Di Maio in tema di fake news e subitanea morte dei giornali – ha sentito il dovere di dire grazie ai suoi lettori, e quindi ai colleghi dei “giornaloni”, per il rinnovato patto di passione, affetto e solidarietà.
Tutto giusto, tutto bello ma un dettaglio – uno solo – pur nella solennità del comizio scritto, rivela la trave quando si tenta di scovare la pagliuzza nell’altrui occhio.
Ed è quando il direttore scrive a proposito dell’imbarbarimento del dibattito pubblico in un tempo in cui – argomenta Calabresi – “la voglia di squalificare e sporcare chi dissente è martellante.”
In tema di sporcare e squalificare chi dissente, nessuno – soprattutto la stampa più autorevole – può proclamarsi innocente.
C’è un lunghissimo elenco di persone, anche in Italia, sporcate e squalificate in ragione della loro squisita eccentricità rispetto al conformismo, ma ancor più lungo è l’elenco di chi – nel dissenso – già giace nell’oblio ancora prima di arrivare alla tomba.
E’ proprio della libertà di stampa, nel suo artificio retorico, il silenziare – ancor più che perseguitare – chi dissente.
Il pensiero unico è davvero unico, non esiste altra cerchia che il proprio circoletto; il reclutamento delle professionalità passa attraverso quei rituali sociali il cui unico canone – un ascensore sociale più consono alle ambizioni dei borghesi bohémien – è, resta e sempre sarà il “Bel Amì”, il romanzo di Guy de Maupassant.
Non è certo tramite le comprovate competenze o il riconoscimento dei meriti che si arriva nel dorato mondo dell’informazione.
Tra uno bravo che porta notizie e uno capace di accendere frisson sarà sempre e solo frisson, nel trionfo di piritollame & aperitivi.
Un campione della bella società è, per fare un esempio da letteratura – giusto a Repubblica, oggi parlamentare – il mitico Tommaso Cerno: frisson, frisson!
E sempre pasta e patate, patate e pasta, pasta con patate offre il giornalismo nella sua veste istituzionale quando accuratamente – e mai come nell’attuale stagione liberale il totalitarismo s’invera negli automatismi dei signorsì – dispensa la versione dei fatti secondo tabù.
“Noi abbiamo la censura e la censura si può aggirare, mentre voi”, mi dice un amico turco, “siete messi peggio: voi avete i tabù”.
E non poter nominarne neppure uno, tanto sono inviolabili questi divieti, sta a dimostrare l’enormità della trave nell’occhio di Mario Calabresi.
Tanto grande da ritrovarmela conficcata anch’io. (da Il Fatto Quotidiano del 15 ottobre 2018)