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l “tomo del momento”, per come lo definisce sulle nostre pagine Fabrizio D’Esposito, diventa una serie televisiva.
M, il figlio del secolo, il libro Bompiani con cui Antonio Scurati prova a raccontare Benito Mussolini e il fascismo come un romanzo di un io corale è già un progetto di Wildside, la casa di produzione di Lorenzo Mieli e Mario Gianai, per farne un successo nel solco di altri fortunati titoli, da The Young Pope di Paolo Sorrentino a L’amica geniale tratto dal felicissimo best-seller di Elena Ferrante.
Buon per loro, anzi, beati loro così pronti a mieter piccioli dall’ingegno ma il caso M – inevitabilmente “autobiografia dell’Italia”, dunque ghiotta occasione – ci solletica un consiglio non richiesto.
Ed è quello di dar fondo a un’immaginazione ancor più impegnativa.
C’è da farne, insomma – del figlio del Fabbro – una sorta di Chanson de Benito. Altrimenti niente, neppure metterci mano.
Nel solco dell’intuizione di Scurati – farne un romanzo “in cui d’inventato non c’è nulla” – non si può inciampare nel dogma dell’anti.
Ogni anti proviene – come ogni anti – dallo stesso fondamento essenziale di ciò contro cui è anti. La sceneggiatura patirebbe, manco a dirlo, di ovvietà.
E fare per come s’è fatto sempre – l’anti – garantisce forse la proiezione in anteprima al Quirinale ma non arriva a quagliare il climax narrativo, si smoscia nell’etica, sbanda nell’etichetta e s’imbraca nella rimozione del non detto.
Il motivo principale per cui M di Scurati piace è proprio nella potenza totemica di M, la M in quanto tale stampata sulla copertina del libro di cui è perfino secondario – nella consacrazione del successo – leggerlo per intero.
Un precedente – un caso editoriale internazionale – fu il Mussolini di Renzo De Felice: un capolavoro della storiografia in più tomi voracemente acquistato dal pubblico e neppure letto ma “posseduto” .
Un best seller, quello, “voluto” in virtù di un crisma, il revisionismo, presto svelatosi nella magia del mercato come un procedimento di distanza – un vero e proprio occhio terzo nella lettura critica – perfetto anche per farne chanson a-ideologica.
Giuliano Ferrara sostiene, giustamente, che in tema di comunismo l’unico revisionismo che funziona è quello fatto dagli ex comunisti. François Furet, lo storico francese, fa testo.
Renzo De Felice, storico del fascismo, non era certo un ex fascista, motivo per cui il revisionismo su M non arriva mai a compimento. Ma sono i famosi dettagli della storia.
Intanto, il consiglio non richiesto alla spett. Wildside: il revisionismo è un metodo di coerenza drammaturgica, specie nella serialità “in cui d’inventato non c’è nulla”.
C’è l’ epos e – trattandosi di uno specialissimo “io” – immedesimazione.
Quella che garantisce il successo a un prodotto commerciale. (da Il Fatto Quotidiano del 8 ottobre 2018)