Ci sono ora tre p. Poeta, premier, paesi. Sembra un giochino linguistico. Invece è una cosa seria. Una voce della poesia italiana, Franco Arminio, il cantore del paesaggio, il “paesologo” pubblicato da Mondadori, scrive una lettera al primo ministro, Giuseppe Conte, pubblicata sul Corriere della Sera. E gli dice: Caro Presidente, fai qualcosa per i paesi che si spopolano. Non stare a pensarci tanto. Basta avere qualche idea per dare una risposta alla bellezza italiana che sta scomparendo, giorno dopo giorno.
Stanno sparendo i paesi in Italia. La crisi economica e la denatalità svuotano le campagne del sud, le antiche comunità montane, le luminose valli tra i monti. Qui c’è come una poesia geografica che sta soffocando. C’è una civiltà che sta diventando un buco nero sulle carte geografiche. Cose note da tempo, si può scrivere. Cose meno note, invece, se, la domenica mattina, un poeta scrive al primo ministro e gli offre dei consigli, questi: Non servono mica i decreti legge per salvare le comunità locali, adesso è sufficiente, caro Conte, che lei svolga un consiglio dei ministri a Carlantino, un paese di 941 abitanti nella provincia foggiana, “Le sembrerà paradossale, ma credo che servano più fiori che opere di bene. Lei, per esempio, potrebbe indire un consiglio dei ministri a Carlantino. E le sembrerà troppo di parte, può scegliere un luogo dell’ Aspromonte o dei Sicani.”
La proposta è intelligente. La politica nazionale deve poter fare marketing territoriale. E deve comunicare di più la vita delle nostre comunità. “Ecco i paesi italiani hanno diritto a essere percepiti come quello che sono: luoghi del mondo, che non stanno né avanti né indietro, luoghi che contengono opportunità e pericoli…” Ecco i paesi da raccontare, da rimettere al centro.
Perché facciamo sempre le manifestazioni internazionali nelle grandi città? Esistono piuttosto belle località del nord e del sud che potrebbero accogliere eventi. E qui la politica saprebbe dare tanto, ma dovrebbe essere più attenta, “Nel caso dei paesi è davvero solo questione di porre un minimo di attenzione, è come se il governo dovesse solo dare un cenno di saluto, una pacca sulla spalla.” Scrive così il poeta che, con i suoi versi, ascolta la natura dimenticata e le pietre antiche dei borghi. Come sapeva ascoltare il paesaggio italico un grande poeta, Pier Paolo Pasolini che cantava, già nel 1962, “Io sono una forza del Passato, / Solo nella tradizione è il mio amore, / Vengo dai ruderi, dalle chiese, / dalle pale d’altare, dai borghi / abbandonati sugli Appennini o le Prealpi…”
I poeti annusano il loro tempo: lo fotografano con le parole. Per questo, qualche volta, ascoltateli. Portano ragioni, sentimenti, proposte. Come ha fatto Franco Arminio. Il quale, con la sua lettera al politico Conte, ci ha rammentato che la poesia resta l’ultima spes, comunque.