Cantava Giorgio Gaber 50 anni fa, in milanese, in quel 1968 di mutamenti epocali:
Mi vu in gir de chi e de là
mi vu in gir per laurà
troevi tanti bigliett de mila
me vegnù in ment de cumprà una Balila.
E la surpresa dei me fradei
che m’han mangià anca i budei
mia cusina che la stà in via Larga
la m’ha mangià anca la targa.
La mia zia de Gurgunzoela
cunt i gomm l’ha fa la cassouela.
El mè nonu che el g’hà l’angina
l’ha ciapà la ciucca cu la benzina.
La Maria che la stà in la mia porta
la m’ha mangià la roda de scorta
el cines cicic e ciscofen
el ancamò li chel pisa in del cofen.
Na visina de la ringhera
la s’hà digerì anca una purtera
el Carlet stu stupidot
el s’è fa un vestì cun la capot.
L’unic che l’è restà fregà
l’è un mè cusin che l’era suldà,
l’è turnà ca e l’ha truvà sulament
el fum del tubum de scappament.
Mi vu in gir de chi e de là
Mi vu in gir per laurà
Troevi tanti bigliett de mila
ma cumpri pu un’altra Balila…
Testo un po’ diverso quello interpretato da “I Gufi” e, comunque, sempre “variabile” in quanto a lunghezza… Comicità poetica e surreale (o demenziale) alla pari di quella di Iannacci, Cochi e Renato, Toffolo, Nanni Svampa, Andreasi ed altri esponenti del teatro comico-satirico milanese di quel tempo.
E conferma del mito inossidabile della “Fiat Balilla”, la prima utilitaria italiana. Una piccola Ford A Tudor sedan – presentata al pubblico ad ottobre del 1927 (le auto statunitensi
erano sempre un modello per il patron della Fiat) – in fondo, motore più grande e freni a parte:
Il 12 aprile del 1932, in occasione del Salone dell’Automobile allestito all’interno della Fiera di Milano, la Fiat presenta la Balilla, il primo esempio italiano di vettura di massa. Il pubblico del Salone non parlava d’altro e, come se occorresse, un altoparlante trasmetteva ogni trenta minuti la canzone ” Nina già t’aspetta la Balilla”. Ed in tanti aspettarono pazientemente il loro turno per effettuare un giro di prova. La nuova vettura Fiat sarebbe stata innovativa soprattutto nel prezzo. I precedenti modelli di auto avevano costi proibitivi. La balilla invece, al costo di sole 9.800 lire, rappresentava finalmente un sogno realizzabile: la vettura (quasi) a portata di tutti (salario mensile operaio: circa 300 lire, un impiegato 400). Mussolini, dopo averla guidata, si congratulò con il senatore Agnelli, elogiando “la robustezza, l’eleganza e soprattutto la modicità di prezzo della Balilla”. Da abile politico concede l’agognato provvedimento che esenta dal pagamento della tassa di circolazione, fino al 30 giugno 1933, tutte le “utilitarie nazionali con motore fino a 12 cavalli fiscali”, cioè la nuova nata di Casa Fiat…
La Balilla permetteva di coprire (guidata da Carlo Salamano) la distanza Torino-Napoli in sole 15 ore, ad una media di circa 65 km. orari. La Fiat realizzò anche un divertente spot “Non è più un sogno”, dove il protagonista mostra tutti i vantaggi derivanti dal possesso della vettura: “costi modici della benzina, libertà di movimento e, soprattutto, basta tram affollati!”.
Lo spot terminava con una domanda, retorica, ma ad effetto per i tempi: Andrete ancora a piedi?
Il geniale illustratore Plinio Codognato si occupò della pubblicità grafica. La pubblicità è stato uno strumento sul quale costruire una storia, una storia eroica, e unire tutti i pezzi di un Paese unito solo sulla carta. All’epoca, la comunicazione visiva dei manifesti era potente, persuasiva. Estendeva il suo potere non solo alla vendita di un prodotto, ma a tutti gli ambiti della vita quotidiana. Tutte le esortazioni venivano espresse per mezzo della pubblicità. La grafica italiana visse da protagonista un periodo di grande splendore. Molti contributi arrivavano dal futurismo, che s’identificava con l’auspicata idea d’Italia. Dinamica, veloce, in costante mutamento verso il progresso. L’Italia ed il Fascismo incarnavano il mito di una macchina austera, ma efficiente. E la Fiat Balilla tendeva a confondersi con tale mito e macchina.
Marcello Dudovich è, invece, l’autore del manifesto del restyling dell’autovettura del 1934, anche se il tocco (e la prosperosa figura femminile) paiono risentire assai della lezione stilistica del grande Gino Boccasile, il maggiore disegnatore di quegli anni. Particolare interessante: forse per la prima volta in Italia – pur ancora rurale e prevalentemente arretrata – la donna diviene obiettivo della pubblicità di un’automobile, segno che i messaggi di emancipazione femminile, veicolati soprattutto attraverso i film americani, giungono con forza, al di là del teorico maschilismo di regime. Favoriti anche dalla maneggevolezza di nuove auto leggere, come la Balilla, guidabili con maggiore facilità rispetto a vetture anteriori.
Da dove veniva quel nome, Balilla?
‘Il 5 dicembre 1746 a Genova gli austriaci rimasero impantanati con un cannone nel quartiere Portoria. L’ufficiale ordinò alla folla di aiutarli scatenando la rivolta, iniziata appunto con la pietra lanciata dall’undicenne Giovan Battista Perasso, detto Balilla. Nell’Ottocento fu assunto a mito della volontà italiana di «risorgere» contro l’occupazione straniera mentre nel Novecento divenne addirittura uno dei principali simboli dell’italianità: l’Ansaldo chiamò con il suo nome un caccia ricognitore, per non parlare del fascismo. Durante il Ventennio la Fiat gli dedicò un’utilitaria ed il regime un sommergibile ed un Ente per l’educazione dei bambini…
Fu infatti proprio con un sasso, scagliato il 5 dicembre 1746 contro un soldato che Giovan Battista «Balilla» Perasso scatenò la rivolta di Genova contro l’occupante austriaco. Ma soprattutto entrò «gigante nella storia». Anche se ancor oggi, a distanza di molti anni e dopo innumerevoli ricerche, la sua figura è ancora a cavallo tra realtà e mitologia. Certa è comunque la grande rivolta popolare che nel 1746 consentì a Genova di liberarsi delle truppe austriache da poco entrate in città… Il 5 dicembre un reparto asburgico stava trascinando un pesante cannone attraverso il popolare quartiere Portoria, quando le ruote sprofondarono nel fango. L’ufficiale ordinò ai popolani di liberarlo ma all’intimazione rispose appunto Giovanni Battista Perasso detto «Balilla» che scagliò un sasso contro i soldati gridando «Che l’inse?», cioè «La comincio?», «Volete che cominci io?». La rivolta divampò per tutta Genova e costrinse dopo cinque giornate di furiosi combattimenti gli austriaci alla fuga. Il fatto entrò subito nella leggenda della città per assurgere cent’anni dopo a simbolo di tutti gli italiani in lotta per l’unità nazionale dalle occupazioni straniere. Quando il fascismo decise di creare un popolo di guerrieri e per questo d’iniziare gli italiani all’educazione militare fin dalla più tenera infanzia, nacquero i «Figli della lupa», dai 6 agli 8 anni, i «Balilla», fino ai 10, i «Balilla moschettieri», fino ai 13 e gli «Avanguardisti», fino ai 18 anni. Le ragazze dai 6 anni erano «Figlie della lupa», per poi diventare «Piccole italiane» a 8 e «Giovani italiane», dai 14 ai 18 anni’.
(Enrico Silvestri, Un sasso contro il soldato e Balilla entra nella storia, 2014, in http://www.ilgiornale.it/news/sasso-contro-saldato-e-balilla-entra-nella-storia).
Finalmente le bambine e ragazzine potevano uscire di casa, e per ordine del Duce, che sognava l’antica Sparta! Il tutto sotto la supervisione di un Ente creato nel 1926, l’Opera Nazionale Balilla. All’adolescente genovese venne dedicata una canzone, di autore anonimo, per narrarne l’epica: «Fischia il sasso,/il nome squilla/del ragazzo di Portoria/e l’intrepido Balilla/sta gigante nella Storia/Era bronzo quel mortaio/che nel fango sprofondò/ma il ragazzo fu d’acciaio/e la Madre liberò». La Madre, naturalmente, era la Patria. Un ideale popolare e duraturo (ancora oggi, infatti, si gioca a calcio balilla). Per la generazione di mio padre la prima fotografia fu spesso con l’uniforme da balilla (che veniva fornita gratuitamente alle famiglie bisognose).
L’automobile Balilla rappresentò il primo modello prodotto su larga scala dalla Fiat ed il volano del processo di motorizzazione in Italia, che prese le mosse a partire dalla prima metà degli anni Trenta, grazie alla relativa accessibilità del modello prodotto dall’azienda piemontese.
Il progetto della Fiat 508 nasce all’alba del decennio, quando la crisi economica originatasi a Wall Street nel 1929 – che si traduce in un aumento della disoccupazione e nel calo della produttività – tocca anche l’azienda torinese. In reazione al contesto economico del tempo, la Casa automobilistica fondata da Giovanni Agnelli decide di produrre un’auto, solida ma economica, in grado di offrire buone prestazioni; in altre parole, un’utilitaria per il lavoro ed il tempo libero che vada ad integrare la gamma di modelli ‘500’. Lo sviluppo del nuovo modello viene affidato inizialmente sia a Oreste Lardone, sia ad Antonio Fessia. Il primo lavora ad una vettura sospinta da un motore bicilindrico, raffreddato ad aria, a trazione anteriore.
Durante i test di collaudo, il prototipo prende fuoco ed il progetto viene accantonato. Fessia, invece, mette a punto un prototipo più ‘classico’, equipaggiato con un propulsore a quattro cilindri raffreddato ad acqua e con trasmissione posteriore. Alla realizzazione della 508 collaborarono altre figure di eccellenza nella scena automobilistica di quegli anni: Bartolomeo Nebbia curò la realizzazione del motore, Votta e Martinotti si occuparono del telaio ed a Rodolfo Schaeffer venne affidata la carrozzeria. Tra loro pure un giovane ingegnere da pochi anni in azienda, ma già nominato capo ufficio tecnico per le indubbie abilità dimostrate. È Dante Giacosa, colui che firmerà i più importanti modelli del marchio Fiat fino agli anni Settanta. Il 27 settembre 1931, a sei mesi dal debutto ufficiale, venne presentato il primo prototipo: “Non aveva niente di originale” – ricorderà successivamente Fessia – “ma era perfettamente equilibrata“.
La Fiat 508 Balilla era un’auto (a due porte e quattro posti) lunga 3145 , larga 1400 e alta 1530 mm, con una massa a vuoto di appena 675 kg. (torpedo). Il motore era un quattro tempi con quattro cilindri in linea, alimentato a benzina, 2 valvole per cilindro, valvole laterali, con un asse a camme nel basamento; con un unico carburatore e dotato di un sistema di raffreddamento a circolazione d’acqua. La cilindrata di 995 centimetri cubici, con un rapporto alesaggio:corsa pari a 65×75 mm. Il motore era in grado di erogare una potenza massima di 20 CV a 3.400 giri al minuto che diventavano 24 CV al regime di 3.800 giri. L’unità motrice era connessa ad un cambio manuale a tre marce (non sincronizzate nella prima serie). La velocità massima dichiarata dal costruttore era di 80 km/h. Sospensioni anteriori e posteriori a ponte rigido, con molle a balestra semiellittica ed ammortizzatori idraulici. Freni idraulici a tamburo. Strumentazione essenziale. Tutto classico, robusto, quasi minimalista (“Quello che non c’è non si rompe!”, soleva dire il senatore Agnelli!).
Il riscontro della stampa è ottimo. Per la rivista del Touring Club, la Balilla “non è un giocattolo dalla vita effimera e dalle limitate possibilità, ma vera, completa, superba automobile: “Industriali, commercianti, esercenti ed impiegati, medici, ragionieri, avvocati, geometri, impresari, periti, ecclesiastici, giovani sportivi e maturi possidenti di campagna, signorine e mammine, tutti hanno riconosciuto nella nuova Fiat che nasce la tanto invocata automobile finalmente accessibile nel prezzo, nell’uso e nella manutenzione. Fatta per durare e per servire, da accontentare ogni più disparata e più severa esigenza”. (Le Vie d’Italia, maggio 1932). Entusiasta il commento di “Motor Italia”, secondo il quale “è proprio l’automobile che mancava sul nostro mercato. Ne siamo davvero entusiasti e la consideriamo come uno dei più riusciti modelli della Fiat: piccola auto costruita da una grande Casa. Senza esagerare si può affermare che la 508 ha già vinto, in modo brillante, la gran battaglia che attende ogni nuovo modello alla prima comparsa in una mostra internazionale. Il successo commerciale della Balilla è ormai assicurato”. Tecnico il commento di Aldo Farinelli de “L’Auto Italiana”: “molto più semplice della 509, più accessibile, più adatta agli strapazzi, più leggera pur essendo molto più robusta, più tranquilla come meccanica, più sicura come guida, in mano al profano, molto più indifferente a cure di manutenzione, più agile e maneggevole nel traffico intenso o nei viottoli campestri, più docile nella tenuta di strada, più comoda, infine, come carrozzeria”.
Nel 1934, la Fiat lancia sul mercato una seconda versione della Balilla. Le differenze rispetto alla versione precedente non sono molte. La Fiat 508 B Balilla si differenzia dalla serie anteriore per la carrozzeria, modificata per essere più aerodinamica, e la trasmissione. I modelli prodotti dal 1934 in poi, infatti, hanno il cambio a quattro marce, III e IV sincronizzate.
Gli esemplari prodotti fra le varie serie dal 1932 al 1937 furono 112.000. In un periodo analogo Ford, solo uno tra i vari fabbricanti di auto economiche USA, produsse oltre 5 milioni di unità del modello A, circa 50 volte tanto, tale era il differenziale economico ed industriale con l’Italia. La Balilla fu protagonista della motorizzazione delle Forze Armate negli anni Trenta. Il Regio Esercito l’acquisì sia nella versione berlina (per gli ufficiali dei Reali Carabinieri), che nelle versioni Fiat 508M Torpedo Militare e Spider Militare come veicolo tattico. L’auto veniva prodotta negli stabilimenti torinesi del Lingotto e fu venduta in varie configurazioni diverse, berlina, torpedo, coloniale, camioncino con cassone di legno e furgoncino di metallo, sport spider, berlinetta Mille Miglia, facendo anche la fortuna di molti carrozzieri che ne sfruttarono il telaio: Ghia, Garavini, Bertone, Farina, Savio, Touring, Casaro, Balbo, Castagna, Viotti, Zagato, Siata, Borsani, Brianza.
Nel 1933 Ghia prepara la Fiat 508 Sport, disegnata da Mario Revelli di Beaumont, e conosciuta come “Coppa d’Oro”, la più ricercata dai collezionisti. Dal 1934 fu realizzata con cambio a 4+1 marce, distribuzione con valvole in testa ed altre modifiche, che portarono la potenza a 36 CV. Vince il Campionato Italiano di Categoria, numerose gare di regolarità, partecipò alla MilleMiglia (nella versione berlinetta).
Oltre che in Italia la Balilla venne anche prodotta in Polonia e messa in vendita con il marchio Polski-Fiat 508. Fu prodotta in 3 versioni successive. Venne fabbricata pure in Francia dalla neonata Simca-Fiat. Presentata il 18 settembre 1932, fu prodotta in 26.472 esemplari fino al 1937. Così come dalla NSU-Fiat in Germania. E dalla ceca Walter Engines, a Jinonice, con la denominazione Walter Junior. Fino al 1936 vennero realizzati circa 1.000 veicoli, tutti con cambio a tre marce.
L’ultima evoluzione del fortunato modello fu la Fiat 508 C, del 1937, che la Casa all’inizio denominò Nuova Balilla 1100, ma che gli automobilisti chiamarono sempre “1100”. La Balilla era solo e soltanto quella nata nel ’32! La carrozzeria differiva completamente dalle precedenti. Il motore era il Fiat 108C, 4 cilindri in linea a benzina, a valvole in testa, di 1089 cm³ (destinato a lunghissima vita) erogante 30 CV a 4.400 giri/min, con cambio a 4 marce più retromarcia, capace di spingere la vettura a 95 km/h. La sospensione anteriore era a ruote indipendenti, con bracci trasversali, molle ed ammortizzatori idraulici a bagno d’olio.
Intanto la “Balilla” era entrata nella piccola leggenda dell’industria automobilistica italiana, e, in primo luogo, nella storia e nel costume di quegli anni ancora di pace e di ottimismo.
Balilla registro italiano: da consultare qui
*già ambasciatore d’Italia in El Salvador e Paraguay