Non è la prima volta che Roberto Saviano si appella ad Ernst Junger per denigrare chi, a destra, non la pensa come lui. Succede spesso negli ultimi anni. E’ accaduto anche recentemente dopo che alcuni militanti di Casa Pound hanno criticato in pubblica via, con uno striscione, lo scrittore campano.
L’accusa di Saviano è, per certi aspetti, interessante: io ho letto Junger, dice uno degli intellettuali simbolo del pensiero globalista, e l’ho capito, voi “fascistelli” né l’una né l’altra.
La diatriba, per quanto sterile, risulta stimolante: Junger infatti resta probabilmente il pensatore che più di altri è riuscito a vedere le linee di faglia della modernità ed i cambiamenti futuribili in senso antropologico e tecnologico.
Non c’è debbio che Roberto Saviano, a differenza del militante politico medio, abbia approfondito lo scrittore tedesco. E non vi è dubbio che in alcuni testi, da Sulle Scogliere ed Eumeswill, ad Heliopolis, passando per Al muro del Tempo, la Pace e lo Stato mondiale, Junger scriva pagine di ottimismo progressivo e di grande attenzione verso quel che chiameremmo senza ipocrisie diritto umano universale.
Quel che nella polemica vuol dimenticare il giornalista antimafia, tuttavia, è l’essenza stessa del pensiero jungeriano: se accelerazione tecnica e globalizzazione sembrano rivoluzioni magico-divine capaci di riportare ciclicamente l’uomo alla sua età dell’oro, di contro, lo Stato mondiale, la burocratizzazione del vivere, l’alveare dell’uomo-ape, rappresentano il grande rischio nichilista capace di ridurre l’individuo a mero strumento tecnico di produzione e morte.
Facciamo un esempio: uomo compassionevole perchè uomo di guerra, difficilmente Junger non si sarebbe accorto del grande gioco di morte e necessità tecnica che si palesa dietro il tema delle migrazioni di massa. E difficilmente avrebbe affrontato un tema così complesso con tanta semplicistica ed ossessionata sicurezza ideologica come fa Saviano. Egli dimostra così si di aver letto e compreso Junger, ma allo stesso tempo di aver scelto di restare un intellettuale organico al potere, come un qualsiasi intellettuale di partito degli anni di piombo, restando uno scrittore commerciale e non un uomo di pensiero, come l’autore che ama tanto tirare in causa.
Il che ci spinge ad un’ulteriore riflessione: se davvero è stato il pensiero di destra ad avere il merito di approfondire le grandi tematiche jungeriane, è anche vero che le trasformazioni della destra politica oggi in corso sembrano funzionali alle critiche del pensare ideologizzato. Slogan, parole d’ordine, e quella concretezza ed abitudine allo scambio politico che difficilmente basteranno a salvare lo Stato dalla sua caduta esclusivamente funzionalista, ultimo stadio del modello liberal-democratico a grandezza mondiale.
Qualcuno, a destra, qualcuno che Junger l’ha letto, capito e vivificato, si spende ancora per un modello politico e sociale differente: un modello che separi nettamente l’individuo e la sua libertà dalla forza e sacralità della Cosa Pubblica. Una differenza persa da decenni se non secoli e che ha fatto dell’Europa la culla di quella Civiltà a cui troppo spesso gli intellettuali di servizio e le Istituzioni politiche si appellano per abitudine e senso del banale.
E’ a causa di questa banalità, che per dirla alla Arendt, resta burocratica, e quindi resta la stessa banalità del male, che lo Stato mondiale potrebbe rivelarsi non una nuova età dell’oro, fatta di poeti, dèi e titani, ma il peggiore degli inferni utopistici.