Mozart, pare che nella musica classica esista unicamente lui. Questa è la vulgata promossa dai soliti americani, dalle università, sino al cinema. Egli fu il più grande? No, o almeno non il solo, poiché, ad esempio, Antonio Vivaldi non gli è certo inferiore. All’estero sminuiscono con furbizia calcolata la nostra tradizione musicale; è un fatto, non una opinione faziosa di chi scrive. Anzi, gli stranieri si arrogano addirittura preminenza in un campo – uno dei tanti – in cui l’Italia è nettamente padrona. Perché osiamo permetterci tale slancio di dignità nazionale? Semplice, poiché la musica, nelle sue indicazioni, si scrive nella nostra lingua; legioni di asiatici studiano nei nostri conservatori; infine, anche il celeberrimo compositore austriaco dovette venire nel Belpaese per formarsi, precisamente a Bologna. Il Primato Musicale Italiano è altresì testimoniato dalle collezioni museali, segnatamente quelle strumentali, con la più ricca e vasta raccolta esistente posseduta dal costantemente negletto Museo Nazionale degli Strumenti Musicali di Roma; come poi nella capitale emiliana si trova l’inarrivabile Museo Internazionale e Biblioteca della Musica, con una quantità enorme di spartiti e testi specialistici.
Situata nell’affascinante contesto del cinquecentesco Palazzo Sanguinetti, uno dei più alti esempi architettonici del periodo neoclassico, la Istituzione bolognese nacque per volontà di un uomo straordinario: quel Giovanni Battista Martini (1706 – 1784), che fu uno dei principali esponenti del Settecento musicale europeo. Un francescano dalla vasta erudizione, nonché sapiente collezionista, teorico e compositore. Martini era un ricercato maestro di contrappunto, e si deve a lui il nucleo originario delle imponenti collezioni musicali cittadine. All’epoca veniva chiamato il «Padre di tutti i Maestri», poiché, tra le altre cose, redasse la prima Storia della Musica di sempre, un testo che, tra quei pochi specialisti degni in circolazione, gli conferisce tuttora fama immortale. Dulcis in fundo, un Amadeus ancora quattordicenne si recò per l’appunto da Martini per prendere lezioni. Tuttavia, chi da noi insegna musica si guarda bene dal raccontare queste cose, con il risultato che non ci è mai capitato di sentire dalla bocca di un musicista italiano neanche un lontano riferimento a Martini, né tantomeno al museo bolognese! La Nazione è ridotta così e purtroppo non da oggi; nulla di essa si sa e si intende sapere. Davanti a cotale avvilente mescolanza di esterofilia e insipienza, noi combattiamo con la «ribellione della divulgazione». Scopriamolo assieme, quindi, questo tempio della conoscenza musicale.
Con sede al Piano Nobile del suddetto Palazzo, il Museo è nato nel 2004 per custodire e valorizzare i beni musicali del Comune, ed è distribuito in nove sale splendidamente affrescate, che ripercorrono secoli di storia della musica europea. Vanto del Museo è la collezione ereditata da Padre Martini, essendo la più prestigiosa raccolta di documenti musicali al mondo, grazie alla eccezionale completezza di talune sezioni, come quella dedicata alla teoria musicale, di cui in certi ambiti Martini possedeva la quasi totalità delle opere a stampa, insieme con i numerosissimi manoscritti. Nella sezione sulla «musica pratica» sono poi presenti tutte le epoche e gli stili, con una forte predilezione per il genere sacro. Numerosissimi sarebbero i volumi da citare, come nel caso di una importante silloge di polifonia quattrocentesca (la maggiore fonte delle opere iniziali di Guillaume Dufay [1397 ca. – 1474]) e la prima edizione musicale stampata in caratteri mobili (realizzata da Ottaviano Petrucci nel 1501, e di cui l’unico esemplare completo rimanente è qui esposto). Per non parlare della notevole collezione di oltre 11.000 libretti d’opera dal ‘700 in avanti, terminando con una delle più ricche raccolte di musica vocale profana del XVI e XVII secolo.
La Biblioteca è l’assoluto tesoro di questo luogo imperdibile per chiunque intenda la musica come cultura. Ciononostante, la ricchezza del Museo non è soltanto «limitata» ai libri. Infatti, in esso si conserva un nucleo decisamente unico di dipinti (319, per la maggior parte oli su tela, ma anche pastelli e disegni), raffiguranti personaggi illustri del mondo della musica. Una raccolta assai rara, ove spiccano le tele di Thomas Gainsborough (Ritratto di Johann Christian Bach, 1776) e Felice Casorati (Ritratto di Arrigo Serato, 1956 ca.).
Alla Quadreria si affianca un gruppo di ottanta strumenti antichi. Pezzi di notevole valore sono: un clavicembalo di Vito Trasuntino del 1606, costruito per Camillo Gonzaga, Conte di Novellara, e un flauto a cinque canne, noto come «armonia di flauti o flauto polifonico», che porta addirittura il marchio di Manfredo Settala (1600 – 1680), canonico milanese e poliedrica personalità nel panorama intellettuale del XVII secolo. La collezione comprende pure otto pianoforti, di cui cinque a coda e tre rettangolari, dal XVII al XIX secolo, fra cui il prezioso Erard del 1811 (forse appartenuto a Paolina Borghese) e, specialmente, il pianoforte Pleyel (1844) del grande Gioachino Rossini. Le meraviglie del Museo giungono a un perfetto epilogo in una sala situata al Piano Terra, in cui è ospitata la fedele ricostruzione del laboratorio di liuteria di Otello Bignami (1914 – 1989), a riprova di quanto la tradizione musicale bolognese non abbracci esclusivamente la teoria, ma pure la capacità nella fabbricazione degli strumenti stessi. Così si chiude armoniosamente questo cammino di Bellezza e sonorità, da testi che conservano oltre cinque secoli di scrittura musicale, passando per i volti dei grandi musicisti che quelle melodie composero e gli strumenti che le suonarono, arrivando in ultimo a ricordare le abilissime mani che tali delicati oggetti sono state capaci di creare.
Oltre 100.000 tra libri e documenti, vari ritratti dei principali musicisti nella storia occidentale e un pregevole numero di strumenti. Insomma, un impareggiabile scrigno di ogni sapere musicale e noi invece che facciamo? Glorifichiamo Bach e Mozart, dimenticandoci colpevolmente di Pierluigi da Palestrina e Vivaldi, con i nostri musicisti che con tracotanza vanno negli Usa in cerca di compensi danarosi, infischiandosene beatamente che a Bologna si trovi la summa di ogni nota pensata e scritta. (da il Borghese, luglio 2018)
Mi riferisco al delirante articolo pubblicato a firma di Riccardo Rosati.
Premesso che le graduatorie in campo artistico sono del tutto inutili e fuorvianti, posso riconoscere la supremazia italiana nel campo del melodramma ma in quello sinfonico?
Mozart non venne nel bel Paese e cioè Bologna, per formarsi ma molto più prosaicamente per ottenere il Diploma di Accademico della Regia Accademica Filarmonica; attestato necessario per poter sperare in una maggiore accoglienza nei teatri e nelle corti di tutta Europa
Mozart ne sapeva più di Padre Martini, di Vivaldi e Pegolesi messi insieme insieme.
La stiria non si fa tramite gli ideali politici e malinconici ma sui fatti reali anche se scomodi
Mi scuso per i gli errori di scrittura di cui mi sono accorto solo ora.
Marco Molinari Pradelli