Ho scritto sul manifesto del 5 giugno, che con l’adesione acritica alla terza via del neoliberismo la sinistra è diventata non l’antagonista del neocolonialismo globalista, ma addirittura, la sua maggiore fautrice. Aggiungendo che, in quanto sinistra, non può palesare le sue intenzioni. Un’esponente della destra come Trump può bombardare in nome della superiorità militare americana al grido “America First”. Una neocon liberal come Hillary Clinton o un buonista come Obama, devono trincerarsi invece dietro lo schermo dell’esportazione della democrazia.
La sinistra del politicamente corretto si estingue perché non riesce più ad elaborare un pensiero critico. In questi anni ha creduto alla favola dei dittatori cattivi e, come unico rimedio, ha proposto l’accoglienza dei profughi, vittime non dalla guerra, ma dei loro stessi governanti. Ha fatto propria l’equazione fascismo = comunismo. Si è schierata sempre dalla parte sbagliata. Questo perché la terza via non è che l’espressione del pensiero unico per cui tutto il resto è totalitarismo.
Di questo pacchetto di riforme dell’originario pensiero di sinistra, fa parte l’idea che la democrazia preveda una frattura popolo/élites, e che le élites debbano guidare un popolo incapace di autodeterminazione.
Confesso che le mie idee sulle élites nascono, come reazione, alla lettura del libro Propaganda di Edwards Bernays. Bernays, l’inventore della propaganda, la giustifica a partire dall’esigenza di piegare il popolo, mosso da istinti bestiali, ai voleri delle élites che invece perseguono a livello sociale, interessi legittimi. Questa visione elitaria della democrazia fa parte della visione del mondo americano. Ma, per fortuna, non è condivisa dalla nostra Costituzione che all’art.1 recita: «La sovranità appartiene al popolo».
Ma, polemizzando con queste mie considerazioni, sul manifesto dell’8 giugno Alessandro Dal Lago scrive che anche Gramsci credeva nelle élites. Siamo qui davanti all’ambiguità della parola élites che significa cose diverse in Europa o in America. Le sinistre europee, secondo la classica priorità del capitale culturale sul capitale economico, attribuivano al capitale culturale le élites.
Concludo sui migranti. Sono reduce da Migranti Film Festival di Pollenzo, dove ero in giuria.. Ho visto un film bellissimo, The Fifth Point of The Compass di Martin Prinoth che spiega il disagio della migrazione più che tutta la teoria. E’ la storia di un ragazzo straniero adottato in Sud Tirolo, cresciuto nella nebbia e nel gelo, che indagando sulle sue radici, riesce a ritornare nel suo paese. I bisogni identitari e culturali non sono necessariamente fascisti o di destra e l’occidente non è necessariamente il migliore dei mondi possibili. Temo che la sinistra, privata dalla sua classe di riferimento, il proletariato, abbia fatto dei migranti una sorta di foglia di fico per dimostrare di essere ancora dalla parte dei più deboli.
Ma i migranti non sono il nuovo proletariato perché la loro coscienza identitaria non è qui ma altrove. Hanno diritto a non essere culturalmente sradicati, a meno che non si tratti di una loro libera scelta. Viceversa gli abitanti dei quartieri più poveri in Europa, hanno diritto a non essere sradicati dalle loro usanze da parte di un’immigrazione culturalmente eterogenea. I migranti non risiedono in via Montenapoleone e non portano via lavoro agli amministratori delegati. Decidere come fanno le élites che il popolo è brutto sporco e cattivo perché non vuole accoglierli è ingiusto. E’ il popolo che porta il peso dell’immigrazione con la perdita di valore del lavoro manuale.
La svalutazione del lavoro in questi anni di ordoliberalismo e di euro, è stata possibile solo grazie all’esercito di riserva costituito dai migranti. E’ logico che le élites economiche siano favorevoli all’immigrazione. Le libera dall’incombenza di delocalizzare dove c’è disperazione, portando la disperazione direttamente qui. (dal manifesto)