È finita l’era dell’industria inquinante e del paradigma dei grandi distretti industriali. Siamo alle prese con una vera e propria guerra per il predominio delle “terre rare”. Un gruppo di minerali, composto da una quindicina di elementi conosciuti anche come lantanidi, denominazione che deriva da uno di essi, il Lantanio. Dai nomi insoliti per citarne alcuni, quali l’ittrio, promezio, samario, gadolinio, lutezio, europeo, ecc… Ai più non dicono nulla se non ricordargli un’assonanza con dei nomi propri e le bizzarrie genitoriali che vanno per la maggiore. Questa famiglia allargata è una vera e propria fonte di approvvigionamento, in grado di alimentare l’odierno capitalismo. La rivoluzione digitale e le linee guida della transizione energetica, incardinate sull’implementazione tecnologica, dettano i tempi del modello della crescita pulita. Ma non è tutto argento quello che luccica, dato il colore argenteo dei minerali in questione: la lotta di potere per le materie prime che servono per la produzione degli smartphone, delle nuove tecnologie hi-tech, per le turbine eoliche, le auto elettriche ed i missili “intelligenti”, è in pieno svolgimento.
La Cina è la maggiore beneficiaria dell’estrazione e produzione delle “terre rare” e, per fare un esempio, la sola Francia gli affida più del 40% delle sue risorse senza tener conto della tipologia di estrazione e, in più, del pessimo sistema di riciclo dei RAEE (rifiuti elettronici) che non supera l’1% annuo. Ma a contendersi il mercato ci sono anche gli Stati Uniti. Finito il periodo florido di maggior produttore degli anni ’80, e scacciato il breve ricordo della chiusura della miniera di Mountain Pass nel 2002, sancendo de-facto il monopolio cinese, adesso vogliono tornare ad avere un ruolo preminente.
Ma affrancarsi dalla dipendenza cinese, come dimostra la scaramuccia dell’8 luglio 2010, che per poco non scatenò un disastro internazionale a causa dell’annuncio di Pechino sul taglio delle esportazioni, non è un’impresa facile. Lo stesso discorso vale per l’Europa che sta investendo in iniziative diplomatiche per ridurre la dipendenza dalla Cina, sulle energie a basse emissioni di carbonio, nelle fonti rinnovabili e nella creazione di start-up per ridurre l’importazione di “terre rare”.
Non sappiamo se gli sforzi europei, tengano presente del rovescio della medaglia. Ovvero, il lato oscuro, all’ombra delle tecnologie verdi e digitali. Non è un mistero che la produzione di un’auto elettrica richiede l’utilizzo di quell’energia convenzionale che si vorrebbe ridurre, immettendo nell’aria tanto CO2 da far impallidire un vecchio diesel. E soprattutto in Italia, dopo aver scoperto i due giacimenti di “terre rare” più grandi d’Europa, in Toscana e Liguria, l’auspicio è di trovare nelle nostre sabbie marine, un giacimento di 16 tonnellate come è successo in Giappone. Giusto per affrancarci, definitivamente, dalla corsa “all’oro hi-tech”.
Motivo per cui l’Italia, erroneamente, continua ad infischiarsene del pesante equilibrio ecologico dei nostri modi di vita, tanto da sottovalutare la logica dei pesci rossi nella boccia di vetro. Quella della produzione di un “benessere” inesistente e della realtà del dover sopravvivere; entrando a piè mani, nell’ingranaggio dell’aumento energetico, cioè materiale, mascherati da green economy e da economia circolare. Delle economie, sempre meno verdi e sempre più economiciste.