L’informazione internazionale sulla Turchia è impestata di pregiudizi, strumentalizzazioni e notizie fasulle. Il bersaglio è lo stesso per tutti, l’islam politico al governo e soprattutto Recep Tayyip Erdoğan che ne è il più visibile rappresentante: episodi isolati di fanatismo e intolleranza vengono decontestualizzati e offerti come prova di una non meglio definita “islamizzazione”, lo stesso presidente è oggetto di una campagna di delegittimazione e demonizzazione senza limiti al grido di “autoritarismo” e “dittatura”, tutto ciò che invece rivela manifestazioni sedimentate di convivenza tra religioni ed etnie viene rimosso dallo spazio mediatico. Emerge una realtà alternativa e catastrofista rispetto a quella oggettiva, pur problematica e diffcile soprattutto per il prevalere di forme illiberali di esercizio del potere.
Nulla di nuovo, in effetti. Lo dimostra – al di là dei suoi intenti e del suo approccio, puramente storiografici – Otranto 1480. Il sultano, la strage, la conquista di Vito Bianchi (Laterza, 2016), che è archeologo, saggista di qualità, animatore culturale lungimirante. Il saggio di Bianchi analizza la campagna ottomana del 1480 – lo sbarco in Puglia, la conquista e l’eccidio di Otranto allora dominio aragonese, la successiva memorializzazione – ricostruendo minuziosamente le confliggenti ambizioni geopolitiche o dinastiche (o persino personali) e le intricate dinamiche diplomatiche in un’Italia divisa in statarelli che produssero quei drammatici eventi, nel più vasto contesto di un proclamato “scontro tra civiltà” – Occidente cristiano da preservare vs. Oriente musulmano minaccioso – ante litteram.
Il personaggio chiave di tutta la vicenda è il sultano Maometto secondo: giovane conquistatore di Costantinopoli nel 1453, aspirante conquistatore di Roma – il leggendario “pomo rosso” – e di tutta l’Italia anche perché già bizantina. La spedizione di Otranto, infatti, doveva essere nelle intenzioni una tappa preliminare – creare una testa di ponte fortificata – verso l’invasione della penisola, poi guidata dal sovrano ottomano in persona: solo la sua morte repentina e con sospetti di avvelenamento, l’anno dopo, ne decretò il definitivo accantonamento.
Bianchi, rifacendosi a conclusioni consolidate della ricerca però poco conosciute dall’opinione pubblica, restituisce a Maometto la sua storicità ben lontana dalle deformazioni propagandistiche dell’epoca: “personaggio di vasta cultura e acuto intelletto, con un debole per le arti e le tecnologie belliche occidentali”, che si considerava formalmente Kayser-i Rum – il nuovo imperatore romano, cioè (conosceva persino il greco e il latino). Colpisce, in parallelo con l’attualità, il riferimento alle accuse di “autoritarismo” verso Maometto che portarono successivamente Max Weber a tratteggiare il modello di “sultanismo”; e invece, spiega Bianchi, l’accentramento istituzionale promosso dal sovrano per l’impero “si prefiggeva di governare al meglio un territorio sempre più ampio, col proposito di integrarvi le popolazioni conquistate”.
Per il Papato, il conquistatore di Costantinopoli era il nemico geopolitico e militare per eccellenza; l’irriducibile incompatibilità religiosa ne era la diretta conseguenza, più che la causa scatenante. Da qui, l’incessante opera di demonizzazione: con Maometto II presentato addirittura come “prefigurazione dell’Anticristo, l’apocalittico dragone rosso che andava debellato con la forza della fede, del denaro e degli anatemi”, epico antagonista per l’appunto “di una lotta mortale fra l’Occidente cattolico e l’Oriente turco”.
Quel che accadde a Otranto tra il luglio e l’agosto del 1480 è piuttosto lineare. Alle richieste di resa da parte del grande ammiraglio e sangiacco di Valona, Gedik Ahmed paşa forte di circa 15.000 uomini, gli assediati risposero con un colpo di bombarda e con l’impalamento di alcuni soldati ottomani in precedenza catturati; dopo aver annientato le difese, gli ottomani misero a ferro e fuoco la città con “rabbiosa frenesia”, spedirono fanciulle e fanciulli a Istanbul come schiavi, decapitarono pubblicamente 800 superstiti. Questi ultimi, le cui spoglie riposano in parte nella cattedrale salentina e in parte nella chiesa napoletana di Santa Caterina a Formiello, già per secoli considerati “martiri della fede”, sono stati definitivamente canonizzati da papa Francesco nel 2013.
Ma l’interpretazione in chiave religiosa, nata immediatamente dopo l’eccidio, non regge al vaglio dei fatti. E anche in questo caso con minuzia di dettagli e logica convincente, Bianchi spiega come il trattamento spietato riservato agli otrantini fu causato più semplicemente dal rifiuto alla resa, che per prassi consolidata non prevedeva la conversione forzata all’islam: “non vi fu niente di religioso in quel massacro, che più prosaicamente era lo strascico di una contesa atroce, la maniera cruenta, terribile eppure usuale, di regolare nelle guerre i conti con gli sconfitti. Non vi fu alcuna richiesta di abiura, nessun ricatto di fede o martirio cristiano”. Un falso storico, uno dei tanti: una strumentalizzazione che ha alimentato – e alimenta – pregiudizi e “va di pari passo con la tentazione di ergere barriere brutali fra culture e popoli”.
*Otranto 1480. Il sultano, la strage, la conquista d(Laterza, 2016)