Un pomeriggio di inizio primavera passai a trovare Andrea Scarabelli, maître à penser della Collana L’Archeometro, edita da Bietti Edizioni. Parlando dei volumi in uscita e dei prossimi progetti di entrambi, vidi davanti a lui dei fogli. Improvvisamente, il suo viso si illuminò. Non volle dirmi nulla, solamente che l’opera cui stava lavorando era quasi terminata. Un paio di settimane fa tornai da lui e, quel lavoro, così difficile da decifrare per me, apparve con tutto il suo alone di mistero.
Chi mi conosce sa bene che sono allergico ad alcuni argomenti. Non è una questione di chiusura mentale: semplicemente, non m’interessano. Tra questi, trovano posto l’occulto, l’esoterico, la religione del Fato e le castronerie medianiche-spiritistiche. Ciò nonostante, adoro i romanzi di Gustav Meyrink. Andrea lo ha capito ed è per questo che mi ha invitato a leggere Alle frontiere dell’occulto. Scritti esoterici (1907-1952) di Gustav Meyrink, supervisionato da lui e da Gianfranco de Turris, e impreziosito, da nove tavole di Danilo Capua.
Il suo, era un invito a conoscere alcuni lati dell’autore dell’impossibile, sapendo che per me avrebbe rappresentato una sfida nella sfida. L’abbandono sicuro, degli studi filosofici e dei confini dell’antropologia e dell’archeologia. Ho accettato volentieri e, stranamente, gliene sono grato. In questa raccolta di scritti che va dal 1907 al 1957, l’autore de Il Golem, La notte di Valpurga, Il domenicano bianco e L’angelo della finestra d’occidente, molto apprezzato da Julius Evola e da Luis Borges, abbandona la centralità del ruolo dell’Io, per mettersi alla ricerca del Sé, con tutti gli imprevisti del caso.
Quella di Meyrink, è un’immersione nell’Altrove attraversando lo Stige, liberandosi da quella visione duale, del bene e del male, parecchio idealizzata all’epoca delle stesure. A tal proposito, troviamo nel passaggio scritto da Piero Cammerinesi, ovvero, «la continua alternanza pendolare di passioni contrastanti, odio-amore, simpatia-avversione» sui protagonisti dei romanzi di Meyrink, una riflessione che ci convince. A nostro avviso, emerge anche l’abbandono dello scrittore della credulità del “caso” ma anche del “fato”, sugli avvenimenti che ci riserva l’esistenza.
Ed è proprio Meyrink che ce ne parla, dalle pagine de Il domenicano bianco, dai suoi interrogativi sulla vita, constatando la disumanizzazione dell’umanità; e con essa, assumendosi l’impegno di tracciare le coordinate dell’ordine del tempo e della morte, evidenziando l’elemento principale di un qualcosa che non stabilisce, l’epilogo che chiude il cerchio: il declino della trance dell’illimitato cui gli uomini moderni aspirano.
Le argomentazioni di Meyrink, convergono sul filo conduttore tracciato da C.G.Jung, quando vergò l’acuto pensiero «Rendi cosciente l’inconscio, altrimenti sarà l’inconscio a guidare la tua vita e tu lo chiamerai destino» e la veridicità, provata in prima persona. Sin dai tempi di Praga, delle frequentazioni che alimentavano l’alone di mistero dei vicoli di Malá Strana, e, dal tentato suicidio nel 1891 che cambiò, completamente, la sua vita e i suoi interessi.
Il percorrere un crinale che inconsciamente, lo porterà a scoprire l’archetipo dei sogni (il fantastico, qui, non trova posto) e quelle raffigurazioni ereditarie, dei segni arcaici che consigliano l’uomo, senza essere interpretati come l’allegoria retorica che ne appesantisce il significato. Nel testo, affiora la ri-collocazione divina e del Sacro nel posto che gli competono: quello della tipizzazione degli eventi, dove l’essere umano non è passivo ma si adopera come «Essere» e nella pluralità delle cose, per incidere nelle tre diverse prospettive del tempo.
Un lungo viaggio che lo porterà a sperimentare, tra Vienna e la Germania, lo studio dell’occultismo, della magia, dell’esoterismo, del misticismo e dello Yoga, svegliandosi da aspettative che gli presenteranno un’amara sorpresa: un mondo personale composto da ciarlatani e imbroglioni, da scuole teosofiche dove gli uomini sono Dèi «sonnambuli che credono d’esser uomini e non d’esser degli Dèi dormienti».
Ma a dispetto dello stesso retaggio che accomuna Meyrink e Abraham Merritt, quel protestantesimo biblico figlio dei suoi tempi, abbandonerà presto il regno dei bigotti e la professione di commerciante per quella di scrittore. Senz’altro, frequentando le logge di mezza Europa e pensando di trasformare gli escrementi delle antiche cloache in oro alchemico… (Patapum !)
Cosa molto diversa dal contemplare, l’attitudine umana che «negli ultimi secoli ha sdivinizzato la natura» e la propensione a essere «una specie di Giano dal doppio viso», dandogli, oltremisura, una connotazione di “risveglio delle facoltà occulte”, ereditata dal bizzarro “esotismo” occidentale del XVIII secolo. Ma ciò non toglie alla figura interessante dell’autore di questa raccolta.
E perdonate il paragone azzardato che in questo caso è calzante, ma allo stesso modo di Mircea Eliade e dei suoi studi sullo sciamanesimo mongolo e asiatico che «è stato continuamente trasformato da una lunga serie di apporti esotici, culminanti nell’irruzione del buddhismo» arrivò, indubbiamente, alla stessa conclusione. Mostrandoci le lacune della ragione umana e della «caricatura meccanicistica del mondo» che sembrano uscite, dalla penna di ognuno di noi.
Gustav Meyrink. Alle frontiere dell’occulto. Scritti esoterici (1907-1952)
Edizioni Arktos, 21/04/2018
A cura di Gianfranco de Turris e Andrea Scarabelli.
Saggio di Piero Cammerinesi, illustrazioni di Danilo Capua
Pagg. 368, euro 26,00