Non è stato ancora detto tutto sulla fragorosa quanto prematura uscita di scena del governo Giuseppe Conte, cioè del primo governo a spinta sovranista della storia dell’Unione europea. Non si dice cioè che tutti gli attori in scena hanno giocato la partita se non male, peggio. Tutti. Qui non c’entrano i costituzionalismi di maniera che stanno inondando i social e neanche il richiamo a un improbabile alto tradimento che semmai ci fosse stato – meglio andarci piano su certi temi! – è difficile da dimostrare a partire da quello che abbiamo visto in questi ultimi giorni. Certo è che è se il presidente della Repubblica avesse utilizzato altre parole, meno didascaliche sul mancato incarico a Savona e sul ruolo dei mercati, avrebbe reso meno politica e più istituzionale la comunicazione delle proprie decisioni, disinnescando sul nascere il legittimo risentimento di chi sul governo del cambiamento (con o senza hashtag) ci aveva messo faccia e firma.
La fenomenologia dei fatti. Partiamo da qui. Perché c’è da evidenziare un dato allarmante che sta sfuggendo un po’ a tutti gli osservatori. Se l’attuale legislatura finisce anzitempo senza esprimere alcun governo nel pieno delle sue prerogative, il problema è storico. Da annali delle istituzioni. Usando la metafora calcistica, è quasi come non qualificare l’Italia ai mondiali. Benché Mattarella non sia evidentemente Ventura né tantomeno Tavecchio, la questione va vagliata senza troppe ipocrisie. A mente fredda se ne discuterà meglio. Il tempo è galantuomo, ma la Storia terribile. Intanto però lo spread sale, a riprova che il presidente della Repubblica avrebbe dovuto meglio gestire le risorse in campo e impedire che tutto andasse all’aria col rischio che una parte del Paese riversasse sull’Istituzione principale dello Stato critiche giustificate, ma anche uscite sgradevoli al limite del criminale (quelle sì da condannare senza tentennamenti!)
Di Maio e Salvini. Belli, giovani e rampanti. Forse troppo. La mancanza di esperienza si è vista tutta. Come anche l’assenza di un gruppo dirigente capace di portare a termine una trattativa complessissima come quella dell’ingresso del professore Savona al Ministero dell’Economia, anche a costo di rinunce ponderate alla posta in gioco, che è pur sempre quella di un governo sovranista. Aprire le porte ad una forza come FdI – ad esempio – avrebbe consentito uno schema a più variabili. Suvvia, se non si è in grado di convincere il Quirinale sulla bontà del “contratto” e dei suoi interpreti, è difficile intercettare le risorse per dar il via al reddito di cittadinanza e alla flat tax. Qui non c’entra soltanto la permanenza nell’Eurozona, che poi non è manco messa in discussione. Ci vuole autorevolezza. Sfidare ben ventisei cancellerie europee è partita lecita, legittima e culturalmente decisiva. Bisogna però essere in grado di gestirla, col fiato e con tante risorse mentali. E quello che abbiamo visto nelle ultime tre settimane, anche in positivo, pare però ancora insufficiente affinché il polo sovranista possa giocare (per vincere) una partita epocale e appunto per questo carica di ostacoli.