“La seconda nascita” (Giuliano Ladolfi editore) è la terza raccolta di versi pubblicata a dicembre 2017 da Fabiano Spessi dopo “L’arte dell’incontro” (2015) e “Una promessa di felicità” (2016), già recensite sulle pagine di Barbadillo, e può considerarsi la terza parte d’una trilogia. Cominciamo dal titolo: la seconda nascita allude ad una stagione che si chiude e ad un’altra stagione che si apre. Ed effettivamente avvertiamo in quest’opera un marcato cambio di registro stilistico. A predominare non sono più i ritratti vividi e a volte ironici di uomini e donne umiliati ed offesi da una società patogena, che pone l’economia sopra ogni cosa, bensì il riferimento ad un generico, indistinto “tu” (“fa caldo e piove / ma tu non cerchi riparo / perché, stasera, non esiste riparo” in L’ultimo giorno d’estate; “quando eri solo un ragazzo / delle amene case nuove” in Boy band; ecc.). Alla piana discorsività delle prime due raccolte subentra qui una discorsività più involuta, “pasoliniana”, il verso tende a scivolare verso la prosa, a volte verso il prosaico, come denuncia ad esempio l’insistente ricorso a espressioni inglesi non sempre funzionali al contesto poetico. Di quello che a tutta prima sembra un esaurimento della vena poetica ne è consapevole lo stesso Spessi che con grande onestà, nella nota posta a conclusione della raccolta, dichiara che questo percorso poetico si è concluso e che egli sente l’urgenza e l’esigenza di sperimentare “nuove e diverse formule espressive”. (p.72). Certo non mancano i personaggi descritti con tocco felice, come lo stagista che “scopre di non essere più giovane” (in Lo stagista a 40 anni); o come Martino, che ricoverato in clinica per poter dimagrire, di fronte ad una “bellissima infermiera” l’unico morso che riesce a provare è quello della fame (in Liposuzione); o come il poeta con il dolce vita che “è così ermetico / che lo capiscono solo quelli / della sua corte” (in Il poeta con il dolce vita nero). Ma si sente che l’accento batte altrove, pur ambendo la poesia di Spessi a farsi specchio critico e compassionevole di un modo di vivere che fa perno sul precariato, sulla solitudine, sull’inerte disperazione, spesso indotti proprio dalle nuove tecnologie male assorbite e invadenti.
Emblematico è, in questo senso, il seguente testo:
GLI SPIETATI
Alzi il bavero della giacca
per difenderti dal primo freddo
dell’anno. Nel tuo quartiere
tutto tace, si impone una pace
prodigiosa nelle ore del dopocena.
Sarebbe il momento di rincasare,
ma ti attardi ancora per le strade
perché ti piace l’idea di scomparire
lentamente nel crepuscolo
come l’eroe di un western
di Clint Eastwood.
Dunque, “La seconda nascita” non è nel complesso un’opera compiuta, ma piuttosto un’opera di passaggio con le sue zone d’ombra e le sue luci. Tra queste ultime merita d’essere citata quella che, a nostro avviso, è la migliore poesia della raccolta, dove la grazia lirica si sposa perfettamente con l’occhio disincantato del poeta che, per dirla con Susan Sontag, presta attenzione al mondo:
IL CIELO SOPRA BERLINO
Le prime luci dell’alba
strappano al sonno gli angeli che
scendono dalle panchine del parco
non visti da anima viva, giusto qualche
cane a passeggio ne percepisce la presenza,
avverte lo spostamento d’aria. Entrano nei
bar per ascoltare i discorsi delle infermiere
e degli autisti d’autobus e poi montano in
servizio con la grazia innaturale del volo.