La crisi del sistema liberaldemocratico e, più in generale, del modello di sviluppo occidentale, non può essere negata. Persino i pensatori liberal maggiormente accreditati a livello internazionale, ne hanno finalmente preso atto. Tra essi si distingue Edward Luce, uomo appartenente all’establishment intellettuale della Washington clintoniana, laureato ad Oxford, di mentalità cosmopolita, collaborò con l’economista Lawrence Summers, negli anni in cui questi fu ministro del Tesoro del presidente Clinton. Attualmente è collaboratore del Financial Times, organo d’informazione vicino alla finanza transnazionale. Ebbene, in un suo recente libro, significativamente intitolato, Il tramonto del liberalismo occidentale, pubblicato da Einaudi (euro 17,00), si confronta con ciò che considera un vero e proprio dramma epocale, la fine della società aperta di popperiana memoria, nonché dei suoi benefici materiali ed esistenziali, oltre che con l’emergere di una situazione geo-politica inedita, in cui i rapporti di forza internazionali sono centrati sull’insicurezza generalizzata. Gianni Riotta, in prefazione, sostiene che l’importanza dello scritto di Luce deve essere colta nell’adozione, a fini esegetici, dello strumento della complessità. Ciò è sicuramente vero, in quanto “Luce non invoca un unico motivo originario (per spiegare la crisi), scintilla primordiale da cui sarebbe scaturito ogni male a venire” (p. VI). Al contrario, parte da lontano ed individua una serie di concause a monte del disastro politico-economico contemporaneo. Ci troveremmo, quindi, in una sorta di stato di guerra, se è vero quanto sostenne von Clausewitz “In guerra l’unica certezza è l’incertezza” (p. VII).
L’esegesi di Luce è ben condotta e tiene conto, in un’esposizione lucida e sobria, della principale letteratura critica prodotta in argomento negli ultimi anni. La parte descrittiva della crisi della società liberale, in particolare, è organica e compiuta. Il problema di fondo del libro ci pare essere ideologico, nel senso che l’autore mette in atto una vera e propria strategia basata sulla ‘cattiva coscienza’, alla quale Marx ridusse l’ideologia, vale a dire un non voler vedere la realtà. Constatato il tratto devastante della crisi e l’esito fallimentare dell’occidentalizzazione del mondo, Luce individua infine, quale possibile soluzione, una autoriforma del sistema, in grado di ridistribuire le ricchezze in modo più equo. Presupposto di tale possibile conversione del liberal-capitalismo, da modalità produttiva centrata sulla ricerca ossessiva del profitto ad ogni costo a produttività equa e solidale, una vera e propria rivoluzione dei paradigmi etici oggi dominanti. Tale posizione neo-liberale ci pare espressione politico-ideale onirica, da sogno. Il liberalismo è tale, non può cambiare la propria natura, se non a condizione di perdere se stesso. Per tale ragione parliamo, a proposito del libro in questione, di neo-liberalismo, terza famiglia degli orfani politici del nostro tempo, dopo i neofascisti e i neocomunisti. Ma procediamo con ordine.
Il libro è strutturato in quattro parti. La prima, Fusione, “illustra le crescenti interconnessioni dell’economia globale e il radicale impatto che ciò sta avendo sulle economie occidentali” (p. 12). Il narrato muove dal cambio della guardia che il mondo ha registrato nel gennaio 2017 a Davos, quando l’economia globale fu strenuamente difesa dal presidente cinese Xi Jinping, dagli attacchi del parvenu Donald Trump. Dagli anni Settanta ad oggi, la Cina popolare ha messo in atto un cambiamento di proporzioni inimmaginabili. Alla sua crescita, l’Occidente non è riuscito a rispondere, facendo registrare, nei casi migliori, la stagnazione del reddito medio. La globalizzazione ha prodotto un mondo frazionato, l’iPhone dell’Apple è prodotto in nove stati diversi e ciò ha avvantaggiato i paesi come la Cina e l’India, il cui obiettivo è impadronirsi della tecnologia occidentale, per poi migliorarla, senza avvertire la necessità di imporre barriere protezioniste. Secondo le previsioni, nel 2050 l’economia cinese disporrà di un potenziale produttivo doppio rispetto a quello americano. E’ lecito sostenere che la crisi inauguratasi nel 2008 abbia determinato la fine del Washington Consensus e che oggi ci stiamo incamminando verso un mondo che potrebbe essere segnato, sotto molti profili, dal caos.
La seconda parte del volume, Reazione, discute la degenerazione della politica occidentale. Essa è stata prodotta dalla fine del mito che nei tre decenni gloriosi 1970-2000, ha retto il mondo occidentale: la crescita economica. Questo è stato, per diverse generazioni, il generatore della speranza sociale: in molti pensavano che i propri figli, avrebbero vissuto con maggiori sicurezze e benefici rispetto alle generazioni precedenti. Così non è stato, e la vita protesa verso il futuro, si è rinchiusa nell’insolitudine di un presente di mero consumo, al cui centro sta il culto della merce. Amicizie virtuali, relazioni reificanti, drastico calo dei redditi e proletarizzazione dei ceti medi, hanno fatto il resto. Luce commenta “E’ il passato ad ammonirci: quando l’Occidente si trova in condizione di forte e crescente ineguaglianza, è difficile che vada a finire bene” (p.13). Per questo lo studioso nella terza parte, Conseguenze, è indotto ad occuparsi delle implicazioni inscritte nel declino dell’egemonia statunitense e occidentale. A suo dire, in questi anni, si sta realizzando quanto aveva intuito Henry Kissinger e cioè che gli USA, allontanatisi in termini economici, politici, sociali, dall’Europa, si stanno trasformando in un’isola al largo delle coste dell’Eurasia (per quanto ci riguarda, ci auguriamo che le cose stiano davvero in questi termini!).
Nell’ultima sezione, Emivita, l’autore si prodiga nel vano tentativo di difendere i valori della società aperta ed opulenta, per far si che essa abbia la meglio nei confronti dei sovranisti e dei populisti in cammino, in molte aree del mondo, verso la conquista del potere. Individua nel mito della ‘fine della storia’, il tratto patologico che avrebbe abbassato nel corpo sano del liberalismo le difese immunitarie nei confronti di virus ritenuti ormai sconfitti definitivamente, quali il nazionalismo e l’identitarismo. In realtà, il sistema liberal-capitalista, non va riformato, ma superato. E’stato semplicemente l’ultimo volto del materialismo contemporaneo, dopo l’implosione dell’Unione Sovietica. Per uscire dal tunnel, sarà necessario far emergere dalla insufficiente pulsione populista, una visione comunitaria che solo il pensiero di Tradizione può indurre.