Clandestini, immigrati economici o profughi, la folla umana che dal Terzo mondo, in particolare dall’Africa e dall’Asia, arriva sulle coste italiane, ha raggiunto numeri esorbitanti. Di volta in volta i media sottolineano che il numero di immigrati scende, che ci sono rimpatri, che comunque quelli che restano sono utili all’economia, che contribuiscono alla ricchezza nazionale e che grazie a loro c’è chi fa lavori che gli italiani non fanno più.
Una serie di tesi improbabili che non spiegano nulla e si basano solo sull’aspetto economico e sull’ideologia egualitaria. L’immigrazione, invece, è un rischio: secondo i dati statistici diffusi dal Ministero dell’Interno, dal 2011 al 2017, in sei anni, ben 722.500 immigrati sono arrivati in Italia e a causa degli scarsi controlli, di una parte di loro si è persa traccia e non si sa che fine abbia fatto, dove viva, se i clandestini hanno superato i confini, se sono entrati in organizzazioni criminali, ecc. Secondo il “politicamente corretto” tutto verrebbe risolto con una buona politica di accoglienza, senza tener conto delle difficoltà di integrazione, dei conflitti etnici fra popolazioni africane e neanche delle condizioni di difficoltà che oggettivamente vivono gli italiani più svantaggiati nei quartieri periferici e degradati.
Al di là di questi problemi, affrontati dai politici come se fossero solo un problema amministrativo, esiste un pericolo maggiore: quello della “Grande sostituzione di popolazione” come l’ha definito il politologo francese Renaud Camus o “Grande trasformazione” secondo Alain de Benoist. Cioè immettere nel giro di pochi anni migliaia e migliaia di immigrati così da alterare la composizione della popolazione, snaturandola. Massimo Pacilio, politologo e studioso della Tradizione, affronta alle radici il problema che non è solo di convivenza, di adeguamento fra comunità, di “arricchimento” nei rapporti fra loro. Nel suo libro L’invasione. Prodromi di una eliminazione etnica fa il punto su una situazione e sui motivi di questa invasione prevista e analizzata già da molti decenni da autori come Spengler, René Guénon, Carl Schmitt, Julius Evola e più di recente Michel Houellebecq, Alain de Benoist, Reanaud Camus, Jean Raspail, Guillaume Faye.
Pacilio spiega i grandi rischi: innanzitutto la scomparsa della civiltà europea perché la mescolanza non significa arricchimento ma perdita di identità, valori, tradizioni, coesione sociale ed eliminazione della solidarietà. L’autore esamina le dinamiche della globalizzazione e i riflessi di quelle relative all’ideologia dello sradicamento. Ma quali sono i motivi principali di questo esodo più che biblico (quest’ultimo, secondo gli storici dell’antichità, coinvolse circa ventimila persone soltanto…)? Sono due nell’analisi di Pacilio: il primo è dettato dalla finanza internazionale che lavora a favore della migrazione e definisce piani di potere globale per conto di lobby e centri di potere finanziario; dall’altro lato, sostiene l’autore, l’immmigrazione sarà sempre più massiccia e finirà per snaturare i popoli attraverso l’eliminazione progressiva delle loro caratteristiche. Tutto – come spiega Pacilio – per farne una massa informe, enorme e docile che chiede solo il soddisfacimento dei propri bisogni. Una sorta di miscuglio di popoli e culture che saranno con il tempo sottomessi ai voleri di un unico potere finanziario, un solo modo di pensare (il pensiero unico), per divenire consumatori di un unico mercato globale. Il pensiero liberal e quello di sinistra sono i due bracci della tenaglia che schiaccerà prima l’Europa e poi il resto del mondo. Ma è sicuro che l’uomo europeo non prenderà coscienza della situazione?
*L’invasione. Prodromi di una eliminazione etnica di Massimo Pacilio (Edizioni di Ar, pagg. 90, euro 12,00).