Chi abbia frequentato le pagine di Augusto Del Noce, eminente filosofo di ispirazione cattolica, dovrebbe aver contezza del rapporto ‘gemellare’ intercorrente tra il moderno e l’antimoderno “così che talvolta riesce difficile distinguere la punta estrema della modernità dell’antimoderno: è il caso di Heidegger” (A. Del Noce, Modernità. Interpretazione transpolitica della storia contemporanea, Brescia 2007, p. 41). Tale intuizione del pensatore piemontese trova conferma, ed ulteriore esplicitazione, nel volume di Antoine Compagnon, docente di letteratura francese a New York, Gli antimoderni. Da Joseph De Maistre a Roland Barthes, da poco in libreria per i tipi di Neri Pozza (euro 28,00). Libro davvero stimolante, uscito per la prima volta in Francia nel 2005, finalmente tradotto in italiano con l’aggiunta di una postfazione dell’autore.
Antimoderno non è termine di uso comune: indica un atteggiamento intellettuale e spirituale nei confronti della vita, del mondo e della storia, nel quale l’appartenenza alla modernità, risulta inseparabile dalla resistenza al ‘mondo moderno’. Il termine ha avuto l’imprimatur negli anni Venti del secolo scorso, quando fu utilizzato da Maritain quale titolo per una sua opera. In realtà, la data di nascita di tale sensibilità, coincide con l’affermarsi della Rivoluzione in Francia, sul finire del Settecento. Una constatazione preliminare muove le riflessioni dell’autore: la Rivoluzione non può insegnarci più nulla, “mentre gli antimoderni sono sempre più presenti e ci appaiono perfino profetici” (p. 9). Hanno fascino, seducono. Leggendoli, lì avvertiamo prossimi ai nostri bisogni esistenziali. Ciò che ci attrae, è il loro costitutivo disincanto, il realismo scettico scevro di profezie perfettiste. All’inizio del secolo XIX, fu paradossalmente la Rivoluzione a determinare un ritorno nostalgico alla Tradizione. La sua negazione stimolò la volontà di recuperarla.
Da oltre due secoli, gli autori antimoderni, lo ricorda accortamente Compagnon, dominano la produzione letteraria, non solo in Francia, anche se le ‘belle lettere’ transalpine, per il nostro storico delle idee, svolgono il ruolo di paradigma del loro radicamento. Come nell’evo antico l’irruzione dell’idea cristiana, stante la lezione di Roberto Calasso, costrinse gli Dei a trovare ricovero nella Parola, così, a causa della Rivoluzione, la letteratura è divenuta dimora della visione antimoderna. L’antimodernismo non va confuso con il tradizionalismo, in quanto esprime, oltre alla resistenza ideologica al presente, un’audacia stilistica inusitata, realmente moderna. Solo qualche esempio: Chateaubriand, Flaubert, Proust, Baudelaire,Valéry, Gide, Claudel, Colette, Péguy, Gracq e perfino Barthes, per restare agli autori discussi da Compagnon, sono esempi illuminanti di mentalità antimoderne. Milan Kundera, sul finire del XX secolo, affermò: “Oggi il solo modernismo degno del termine è il modernismo antimoderno” (p. 11). Per dimostrare la verità di tale asserto, nell’incipit del volume, l’autore esplora idee forti e costanti tematiche dell’antimodernismo, mentre nella seconda parte presenta saggi monografici dedicati a singoli pensatori.
Compagnon individua sei costanti del pensiero antimoderno: una figura storico-politica, la controrivoluzione; una figura filosofica, l’anti-illuminismo; un aspetto morale ed esistenziale, il pessimismo, correlato alla valutazione dell’idea di peccato originale; un aspetto estetico, legato al sublime ed, infine, la figura dello stile più volte correlato al vituperio e alla deprecatio temporis. La Controrivoluzione è il doppio, la replica della Rivoluzione ed il controrivoluzionario un esule in Patria. Così, fin dai suoi esordi, l’antimoderno è gemellato alla modernità, inseparabile da essa. De Maistre e Chateaubriand sono legati a corda doppia al duo Voltaire-Rousseau “De Maistre[…]vede la controrivoluzione come la tappa successiva della Rivoluzione, non come un ritorno indietro” (p. 28). La Controrivoluzione come superamento o ricambio, reversio della Rivoluzione. Ciò rende l’antimodernismo politico latore, nelle spietate critiche alla democrazia, di un’aristocrazia dell’intelligenza. Tali pensatori portano “la croce della democrazia” (p. 36), senza aderire a scorciatoie reazionarie, maurrassiane e/o golpiste. Il loro atteggiamento metapolitico li induce a ritenere che, il fondamento delle società, sfugge alla ragione. Con Lamennais: “Le società non si fanno; la natura e il tempo le fanno di concreto” (p. 55).
La convinzione pessimistica, consustanziale all’antimoderno, non comporta l’apatia, al contrario! E’ l’ottimistica fiducia nel progresso a generare la paralisi dell’azione, l’affidamento fiducioso al corso inevitabile degli eventi. Si manifesta non solo nei progressisti, in forza della concezione lineare della storia, ma anche nella scolastica tradizionalista e/o reazionaria, che legge il tempo alla luce del determinismo ciclico. L’antimoderno ha una visione aperta della storia, il pessimismo si traduce in un’etica attiva, areteica, che rifugge dal complottismo e dal necessitarismo. Tale mentalità sintetizza le intuizioni pascaliane con le tesi di Schopenhauer. Lo si evince dal pessimismo antropologico di De Maistre, centrato sull’idea del peccato originale ‘continuo’, l’entropia che caratterizza, al fondo, la vita. Lo comprese esemplarmente Roland Barthes, per troppo tempo, ricorda Compagnon, considerato paladino dell’ultra-modernità. Il suo ultimo corso al Collège de France, tenuto tra il 1978 ed il 1980, sul tema La Préparation du roman, svela la sua anima antimoderna. Egli disprezzava l’imbarbarimento della lingua e temeva la possibile fine della letteratura, “Non amo né capisco niente di attuale, amo e comprendo l’inattuale; vivo il Tempo come una degradazione dei valori” (p. 391). Egli chiamò, sulla scorta di Flaubert, tale sentire, ‘Policarpismo”. Il grande scrittore, infatti, nella corrispondenza privata, era solito identificarsi con San Policarpo, martire del secondo secolo dopo Cristo, il quale affermò: “Dio mio, Dio mio, in quale secolo, in quale secolo mi hai fatto nascere?” (p. 391).
Barthes, al pari di Heidegger, teorico del pensiero-poetante, e allo stesso modo di Pound, Eliot ed altri pensatori, comprese che, dall’aridità moderna si sarebbe usciti solo attraverso il recupero della Parola evocativa, un’arte capace di ritrovare la vocazione museale e sacra. Ora, mentre Compagnon ritiene che, a causa dell’inverarsi della modernità nella post-modernità liquida, oggi non vi sia più spazio per gli antimoderni che, per definizione vivono in simbiosi con il loro opposto, noi siamo convinti del contrario. E’l’accelerazione dei processi di crisi a richiedere un contravveleno significativo: l’origine sempre possibile.