Mario Sironi (Sassari 1885 – Milano 1961) è considerato tra i più importanti pittori italiani. La sua esistenza coincide con il XX secolo e diventa simbolo delle vicende di una generazione. Fu il più sicuro interprete di un’arte comunitaria. In altri paesi sarebbe stato celebrato di continuo; in Italia, invece, il suo nome ha suscitato polemiche sino a pochi mesi fa, quando il restauro dell’opera ‘L’Italia fra le Arti e le Scienze’ ha riconsegnato al paese una memoria storica in occasione degli ottanta anni dell’università La Sapienza.
Renato de Robertis ricostruisce in versi le tensioni umane e artistiche di Sironi, raccontando alcuni eventi della vita del pittore, ossia: – la scampata esecuzione sommaria nel 1945, grazie a Gianni Rodari che, sulla strada per Como, riconobbe “il pittore delle periferie”; – la morte della figlia adorata Rosanna, diciottenne suicida per amore.
Scandito in strofe, il componimento si trasforma in un appassionato dialogo con un giovane artista sul destino dell’arte contemporanea.
“Io, le montagne, le reinvento. E le sfido.”
Mario Sironi
I
Vedere la guerra sulle sponde di un lago
gli parve poesia di un bretone mago
e riafferrare la vita dentro l’automobile
gli ricordò Marinetti, il suo sorriso amabile.
Artista proletario perché non lo chiamarono?
Volevano fucilarlo il venticinque aprile.
Ma fu il poeta Rodari che disse senza bile,
“ il pittore delle periferie, lasciatelo andare!”
Ricordare Mario è raccontare l’Italia.
Tutte le tempere mescolate ai giorni
sapevano silenzi, non finzioni,
mentre sui silos danzavano i corvi.
Autostrada Milano-Como là rinato.
Potevano sgonfiarlo le mitragliate:
un mitra Sten britannico magro
avrebbe, col sangue, il muro forato.
Febbre dei morti, le macerie.
Umili corpi sotto feroce orgoglio.
Proprio Mario su un foglio
schizzò l’esecuzione e il buio.
Per questo amava Goya,
maestro di fantasmi e pittura
per schizzare pietà e paura.
Sul cielo avrebbe voluto decorare
il muratore e il santo insieme.
Così il suo ‘Penitente’
dava il cuore alla gente.
Già nel trentasette Picasso,
“Sironi, artiste honnȇte!” disse.
L’arte non fu sporcata dall’ego;
per questo Mario credeva ad Umberto,
l’amico di ogni baleno.
Boccioni parlò con Dio,
“Fosse stato il suo cadere il mio?!”
E tu, giovane di un altro secolo,
lascia cadere ogni rimorso,
senza spavento vivi, non hai perso.
Ma, ricorda, la vita è strada che riapre.
Se i furbi attendono, lasciali aspettare.
Mario perse ma coltivò macerie
dietro le tele marroni e nere.
La sua innocenza rimase intatta,
nel deserto di una Storia matta,
mentre gli uomini, grasse furie,
con le serpi portavano regali.
Ora le idee son fango tra i tori.
E tu aspetta, torneranno i fiori
sui prati pietrosi tra falchi e voli.
Più nessuno disegna silos e tralicci
scordati nelle periferie oggi.
Oh, incantate strade e ciminiere,
le muse di Sironi furono sincere!
II
“Non accumulò Sironi profitti di regime”,
i giornalisti scrissero… e tante scuse.
Poi Malaparte giudicò in rime,
“In un mondo di imbecilli e ladroni
è cosa rara incontrare Sironi.”
È fatto di sole un affresco
là sul generoso intonaco.
Rammenta allora non invano
di sperare ogni anno
da romantico incazzato.
Poi lo stress e il via vai
di progetti, cuori, operai
dipingi pure, dipingi tanto.
Dipinse Mario poche nubi,
quelle basse, quelle bigie,
come Masaccio fece.
Scuri cantieri pitturava:
la tela aspettava tempesta
e non chiuse la finestra
al vento che ghiacciava.
Senza nuvole come fughe,
senza fantasmi gonfi,
Piacentini poi gli disse,
“Con i muri Mario torni
al popolo, ai suoi racconti.”
Ora tornare al murales tanto!
Pedagogia è affrescare muri,
finire individualistico inganno.
Lungo i muri urbani nuovi
vive l’arte senza gallerie.
Arte murale, arte popolare,
con il fascio-comunista Sironi.
Vive l’Europa senza arte,
frigida chiesa di teletubbies.
Scherza sempre a false carte
in questa notte di smarties.
III
“Piccola mia sentimi…
Non mi abbandonare…”
Rosanna, Rosanna,
arte come il mare,
come poté una pistola
la bellezza terminare?
Per lei avrebbe dipinto mille quadri,
le nuvole che reggevano piramidi.
Figlia di sogno e dolore
non salutò Mario, suo padre.
Disse addio all’amore
in un quadro di vergogna e chiarore.
Preparava all’amante tutto.
Intanto non sapeva Rosanna
che svago del ladro, l’amore,
indugia e prepara il furto.
E tu che ascolti la sconfitta,
schifo che erutta il vulcano,
apri porta della tua soffitta
e vai all’affresco romano –
“L’Italia fra le Arti e le Scienze” -,
aula magna dell’università,
dove il futuro scruta orbita,
traccia un’altra strada già.
Nei giorni dell’affresco,
qui sfiorato e restaurato,
le mani carezzino il savio
sorriso riemerso di Mario.
Febbraio 2018
a P.G., giovane artista, alla sua Street Art
Bibliografia minima:
Ha ispirato questa composizione la notevole biografia di Elena Pontiggia, Mario Sironi, la grandezza dell’arte, la tragedia della storia (Johan&Levi, 2015).
Un classico da considerare è Giovanni Testori, La bandiera e la polvere, presente nel ricco catalogo Sironi 1881-1961 (Mazzotta 1985).
L’evento della scampata esecuzione di Sironi è narrato dalla Pontiggia, ma è ritracciabile nel testo di Marcello Argilli, Gianni Rodari. Una biografia (Einaudi 1990).
Inoltre ha sintetizzato il pensiero sull’arte pubblica sironiana il recente lavoro di Andrea Colombo, I maledetti. Dalla parte sbagliata della storia (Lindau, 2017)