Appoggio esterno della Lega al governo di Luigi Di Maio. Un accordo vero, dopo.
Se fanno così – e avrebbero la maggioranza – durano cinque anni.
La vera partita, poi, se la giochino dopo: nella prossima legislatura, perché nel frattempo succedono due cose: il sistema, messo momentaneamente al tappeto col voto del 4 marzo, non si rialza più e Silvio Berlusconi, nell’attesa, esce di scena (e con lui la falange macedone stretta intorno a Matteo Renzi).
Succede – se fanno così – tutto quello che il voto ha clamorosamente certificato.
E’ facile, e semplice – coerente con la volontà popolare – ma non succederà.
Interverranno fattori personali: chi mai farà il vice di chi?
E siccome chi vince è sempre bello, bravo e intelligente – con La Repubblica che blandisce e il Quirinale che spinge – chi vince si ritroverà adescato nelle formule già all’opera, “responsabilità” su tutte.
Ovvio che i poteri forti – la rete finanziaria internazionale, gli equilibri geopolitici delle cancellerie – puntino a un governo M5S-PD ma il voto “contro” di un italiano su due, attesta un fatto. E cioè che l’antipotere ha bellamente battuto il potere. E che la trappola mentale della destra e della sinistra non ha più ragione di essere.
Nessun altro luogo comune, infatti, può reggere ancora di fronte a questa insorgenza dei santi maledetti se a Ciaculli – “zona ad alta densità mafiosa” – stravince il M5S e se Capalbio, la Lourdes del comunismo altolocato, passi poi alla Lega.
Il movimento di Beppe Grillo è forse il garante di Cosa Nostra? No. La Lega è la nuova tana dei radical chic? No e poi no.
Il M5S – per usare la provocazione di Eugenio Scalfari – non è il “nuovo grande partito della sinistra”, il movimento Cinque Stelle non è Tsipras e così la Lega non è Alba Dorata. Entrambi, poi, non sono il cosiddetto “populismo”, semmai sono i destinatari di uno stesso carico di rabbia in cerca di ascolto.
Dove c’è la Lega non ci sono i CinqueStelle, e viceversa: dove c’è il movimento fondato da Beppe Grillo – da Cassino in giù – non c’è il partito di Matteo Salvini.
Il Nord chiede di pagare meno tasse, il Sud necessita del reddito di cittadinanza ma il blocco sociale che nel Mezzogiorno sostiene Di Maio e nel settentrione vota per Salvini è lo stesso: è il piccolo-borghese, moderato per struttura sociale, che finalmente trova qualcuno che lo capisce sui bisogni più urgenti.
L’emergenza numero uno al Nord – dove pure il popolo della Partita Iva diventa il nuovo proletariato – è la sicurezza dei cittadini. Quella del Sud – dove ogni giovinezza se n’è scappata via – è il lavoro. E le madri e i padri di famiglia della grande provincia italiana, a Novara, come a Nardò, riescono a farsi capire solo nei gazebo e nelle chat social degli uni e degli altri.
Lega e CinqueStelle sono il famoso 51 per cento legittimato a governare.
I rispettivi programmi hanno almeno dieci punti in comune. E’ ben più che il minimo del minimo per stabilire un accordo più che un compromesso quando già l’idea di mettere mano alla Legge Fornero, nell’assai probabile Governissimo Di Maio-Emiliano, apre le porte al teatro dell’assurdo. Senza dimenticare che la prima prova di fidanzamento tra il post-comunismo e il popolarismo grillino portò – a suo tempo – a qualcosa che nulla ha generato in termini socio-politici, anzi, e che tutti vogliono dimenticare: all’elezione di Pietro Grasso e Laura Boldrini rispettivamente alla presidenza del Senato e della Camera.
Qualunque altra soluzione che non sia il coagulo delle due forze anti-sistema macchia il successo dell’una e dell’altra ma solo in un’idea della politica come scienza della coerenza potrebbe accadere. Destinare il M5S all’abbraccio col centro-sinistra significa, invece – ed è la mia obiezione a Marco Travaglio – inchiodarlo al sistema.
Tutta quell’Italia, quella delle periferie, chiede garanzie sociali e non sa che farsene della retorica centrosinistrese di diritti civili, di antifascismo fuori tempo massimo o del globalismo mondialista.
La sinistra che non è maggioranza è comunque egemone e ha le giuste leve. E si sa. Il Pd, e così i dinosauri del post-comunismo, in un governo M5S-Centrosinistra, porteranno in dote tutti gli spezzoni di sistema inevitabilmente ostili alla stagione popolare – e non populista – certificata dal voto del 4 marzo. Ma si sa cosa sono le rivoluzioni, sono illusioni. (dal Fatto Quotidiano del 11 marzo 2018)