Da qualche anno le elezioni si decidono allo sprint finale, nell’ultima settimana, confidando negli umori del cosiddetto “elettore liquido” ovvero quella parte dell’elettorato che è decisa ad andare alle urne ma non è motivata da convinzioni profonde. L’altro giorno, ad esempio, in un bar di Milano sentivo due giovani , seduti di fianco a me, che erano indecisi se votare Salvini o la Bonino. Com’è possibile? Direte voi. L’alternativa è estrema e profondamente contraddittoria ma plausibile in quella parte dell’elettorato che non segue costantemente la politica ma matura i giudizi orecchiandoli qui e là e che alla fine, senza ammetterlo pubblicamente e men che meno a se stesso, vota in maniera istintiva e subliminale, convinta dalla personalità del leader politico, più che dalle sue idee, dalla capacità di riconoscersi in lui o da un solo aspetto del suo programma.
Sia chiaro: la maggior parte degli italiani a questo punto ha già deciso ed è signficativo che i sondaggi da settimane registrino oscillazioni minime; però proprio perché l’esito sembra scontato, saranno proprio gli elettori liquidi a determinare le grandi svolte di queste elezioni, quattro in particolare:
– Il Movimento 5 Stelle finirà sopra il 28%?
– Il Pd chiuderà sotto il 20%
– Il centrodestra otterrà la maggioranza assoluta o solo quella relativa?
– Chi finirà in testa, la Lega o Forza Italia?
Il Movimento 5 Stelle è in piena metamorfosi: dai vaffa di Grillo agli abiti grigi di Di Maio, da movimento di rottura a partito che vuole accreditarsi con le istituzioni italiane, quelle europee e persino con un tempo odiatissimi banchieri di Londra. La retorica del cambiamento è la stessa, la realtà dei programmi e delle intenzioni però è un’altra. Verosimilmente la maggior parte degli attivisti non si è resa conto dell’evoluzione e la loro fede è così forte da risultare impermeabile agli scandali esplosi in questi giorni. Il Movimento è in corsa grazie alla fiducia dei “vecchi” simpatizzanti, domani lo sarà soprattutto ai nuovi.
Allungando lo sguardo, infatti, non è difficile immaginare un’Italia post Forza Italia e post Pd. Diciamolo: un Berlusconi al 15-17% rappresenta un successo straordinario ma di brevissimo periodo, perché Forza Italia si regge sul richiamo del leader storico, che però ha 81 anni, e dietro di lui c’è il vuoto. Come vuoto è anche il futuro del Pd: le devastazioni di Renzi lasceranno tracce profonde e il Partito democratico rischia di fare la (brutta) fine di tutti i socialisti europei, ridotto a una forza di circostanza, complementare.
Sostituito da chi? E se fosse il Movimento 5 Stelle in versione “macroniana”? Sopresi? Non dovreste. A questo, secondo me, punta Di Maio: un partito non più populista ma progressista e trasversale, gradito anche all’establishment. Molto diverso da quello delle origini (e forse per questo Beppe Grillo si è allontanato) ma altrettanto forte politicamente, proprio perché capace di intercettare il pubblico disilluso della sinistra moderata. Quella che si profila è una sostituzione storica.
Così com’è chiaro il disegno di Salvini, la cui maturazione evolve verso un Partito sovranista e italiano ma autorevole, teso ad occupare tutto il centrodestra e dunque ad assorbire anche gran parte del pubblico di Forza Italia post Berlusconi. Un’altra svolta storica a cui nessuno, pochi anni fa, avrebbe creduto.
Che Italia soprendente si profila, polarizzata non più fra Forza Italia e Pd, ma tra la Lega e il Movimento 5 Stelle, fra la nuova rispettabile destra sovranista e la nuova rassicurante sinistra europeista. Quelle del 4 marzo rischiano di essere, davvero, elezioni storiche.