“La migliore morte è quella che giunge inavvertita”. Lo dice Cesare, il modello del coraggio. È capitata a Giuseppe Galasso; e la meritava, perché non era solo il più illustre napoletano vivente, ma un uomo grande e buono, di straordinaria generosità intellettuale e affettiva.
Il 20 novembre avevamo festeggiato i suoi 88 anni. Il suo allievo prediletto Luigi Mascilli Migliorini aveva organizzato un convegno nella biblioteca della Società Napoletana di Storia Patria con illustri storici italiani, tedeschi, francesi, spagnoli, perché fossero presenti i principali ambiti della sua ricerca. L’occasione erano anche la Storia della storiografia italiana. Un profilo, e Storiografia e storici europei del Novecento, i suoi ultimi libri. Aveva detto: “Oggi è possibile festeggiare due volte i quarant’anni, anche i cinquanta, spesso. Ma ottantotto, si può una volta sola.” E, con l’eloquio accattivante e la napoletana arguzia che gli erano propri, aveva ripercorso le tappe della sua ricerca, della sua passione. Nessuno, come lui, era in grado di palesare la più ardua materia con la semplicità dei grandi. Poi una cena in riva al mare. Racconti, battute di spirito. Di fronte al ricordo della pervicace ostilità di Arnaldo Momigliano verso chi di gran lunga gli era superiore, Santo Mazzarino, “don Peppino” raccontò che all’inizio degli anni Cinquanta un suo fratello, manovale, era morto cadendo da un’impalcatura; e Momigliano gli inviò un assegno di sessantamila lire per la vedova.
Le sue lezioni erano trascinanti. Non ho l’età per aver ascoltato quelle di Benedetto Croce ma sono certo che le sue ne derivassero. Con Croce il legame di Galasso è fortissimo; è facile dire che egli ne fosse il principale erede. La somma dottrina li apparenta, ma anche la sprezzatura intellettuale e quella nel rapporto umano; e la passione civile, che si faceva passione politica. Nella casa di Croce Galasso teneva lezione, oltre che all’Università di Suor Orsola Benincasa. Si era formato lì, vi aveva trascorso una vita. Quelle sale, ora Istituto Italiano per gli Studi Storici, conservano il tratto della dimora ospitale di un grande borghese.
Non sta a me ricordare sotto il profilo scientifico chi è stato un onore degli studi della Storia. Galasso ha trattato la grande Storia e quella minuta, con un gusto per gli epistolari, i documenti d’archivio, i particolari, che pure sono comuni a “don Benedetto”. L’amore per Napoli li unisce. Galasso continuava pervicacemente a lottare per Napoli e per il Meridione: colla forza delle idee, con l’impegno politico, con la legge per la difesa del suolo e del territorio: uno dei più alti modelli di legislazione civile, disatteso e travolto da turpi interessi. Ma vorrei ricordare quanto piacevole egli fosse nella convivialità. Dava il “Voi”, da napoletano all’antica. Gli occhi gli brillavano di bontà. Leggendo la bozza del mio libro di memorie (si era nel 2014) mi inviò una lettera manoscritta, su inchiostro verde, scusandosi poi per la lunghezza. E mi faceva osservazioni sulla grafia della lingua napoletana, dandomi alcune fondamentali correzioni; persino su parole sconce, che pur fanno parte della vita. Da Hegel e Cavour al delizioso particolare: solo uno spirito magno può permetterselo.
Che se ne sia andato “di subito” lo so per certo. Mi rendo conto di fare la figura di quelli che s’affannano a divulgare la loro intrinsichezza con un illustre scomparso; mi rassegno. Domenica mattina dice: “Don Paolino, ho ancora qualche strascico influenzale, vediamoci a cena lunedì 19.” Il dialogo intellettuale non s’interrompe: restano i suoi libri, i ricordi: durerà per il resto della vita. Ma quell’amicizia che arricchisce, ecco: lascia un rimpianto cocente. “La vita è terribile e bellissima”, disse alla celebrazione. È diminuita di valore, senza di lui.
*Da Il Fatto Quotidiano