Pubblichiamo la recensione del romanzo Una donna alla finestra di Pierre Drieu La Rochelle, curata da Sandro Marano, tra i più originali studiosi della poetica dello scrittore fascista francese
Tradotto per la prima volta in italiano per le edizioni GOG con una pregevole postfazione di Marco Settimini, Una donna alla finestra è il terzo romanzo di Pierre Drieu La Rochelle. Pubblicato all’inizio del 1930, la sua stesura era stata già preannunciata dallo scrittore l’anno prima in alcune lettere indirizzate alla sua amante Victoria Ocampo, facoltosa aristocratica argentina, letterata e promotrice culturale, di idee di sinistra, conosciuta il 7 febbraio 1929. Nel frattempo, tra aprile e maggio del 1929, Drieu aveva fatto un viaggio in Grecia, che l’aveva molto colpito. Tra l’altro, il traduttore e curatore Marco Settimini ci informa che, quando lo scrittore francese si recò in Grecia aveva dimenticato di munirsi di visto ed era stato sospettato di essere un bolscevico. Tutti questi elementi hanno certamente lasciato una traccia nel romanzo, che è innanzitutto una storia d’amore, ma anche una meditazione sulla vita, sul tempo che scorre, sulla bellezza, sull’eternità e l’importanza dei miti per gli uomini. “L’intero romanzo – scrive Settimini nella postfazione – può essere letto tanto come una storia d’amore quanto come un saggio atipico” ed è fondato “sul costante slittamento dal piano psicologico a un piano metafisico.” Scrive Drieu: “In Grecia, la terra si dischiude senza posa sull’acqua e l’acqua è sempre presa dalla terra… Ben presto per l’occhio impegnato in una visione più sottile non ci sono più né mare né cielo, ma un’unica luce… E’ in questa maniera che è stata fatta la gioia di vivere e di pensare di molti uomini.” Ma accanto alla Grecia eterna, adombrata dai miti, accanto alle montagne sulle cui sommità si innalzano i pini e ai cui piedi si accalcano gli ulivi, dalle quali discendono le cosmogonie e le epopee, c’è anche una Grecia decaduta, corrotta dalla modernità: “Questa terra è spezzata. E’ una rovina, così come le opere dell’uomo di cui reca ancora qualche traccia come il frammento di una collana strappata. Queste montagne sono state depredate, scorticate fino all’osso… questa terra è stata attraversata per poche ore da una civiltà che l’ha lasciata inerte, svuotata per sempre.” La trama si dipana tra un’Atene, grande metropoli mediterranea, già allora cosmopolita e crocevia di affari e di intrighi, e una Grecia rurale, dalla natura ancora intatta e costeggiata di rovine in cui lo spirito antico si era rifugiato. In questo sfondo “metafisico” si muovono i quattro protagonisti principali del romanzo, tratteggiati da Drieu con mano felice e leggera: la marchesa Margot Santorini, bella, elegante, sensuale, volitiva, di circa trent’anni, che affacciatasi alla finestra della sua stanza d’albergo nel cuore della notte vede scappare un uomo braccato dalla polizia e gli dà rifugio; il rivoluzionario comunista Michel Boutros, “piuttosto bello, alto, forte, bruno, abbastanza malvestito, ma non volgare”, che “aveva una voce maschia, gentile, abbastanza raffinata, nonostante l’affanno che lo scuoteva”; il marito di Margot, Rico, diplomatico italiano, “dongiovanni malinconico” e indolente per il quale “perdere le donne e perdersi attraverso le donne era diventato il senso del suo strano destino, nel quale le vanità più meschine colmavano il vuoto lasciato dall’assenza di grandezza”; e Malfosse, uomo d’affari, borghese, bardato di solidi pregiudizi, geloso spasimante di Margot. E’ un’indimenticabile figura di donna quella di Margot, che fu probabilmente ispirata a Drieu da Victoria Ocampo: era una donna che “dalla vita aveva ricevuto e le aveva restituito del buonumore. Tutte le persone che aveva incontrato le aveva trattate con umanità”, e “fatta in modo così evidente per provocare il desiderio più immeditato”, la cui “grazia spirituale”, tuttavia, “determinava un contrasto conturbante con la succulenza della sua carne.” Ed è questa donna, che tollera rassegnata i tradimenti del marito, che accetta di essere corteggiata da diplomatici e uomini d’affari appartenenti ad un ambiente frivolo, che sfoggia la civetteria prestandosi ai giochi di tutti senza tuttavia concedersi, che attende che in fondo al cuore sbocci la passione, ad incontrare Boutros, il rivoluzionario votato alla lotta politica sotto le insegne del comunismo, a cui sacrifica affetti e vita personale. Tra i due sboccia l’amore che vince a poco a poco le indecisioni, le reciproche diffidenze, i pregiudizi. E Drieu descrive magistralmente “la catena delle brevi e grandi ore che avevano cominciato a legare i loro cuori.” Ma Boutros è davvero un comunista? Ne dubitiamo. In una memorabile pagina del romanzo Boutros dissimula il suo turbamento di fronte alla bellezza delle rovine di Delfi e dice a sé stesso “non posso, non posso abbandonarmi alla nostalgia di ciò che è finito”. Lui vuole creare qualcosa di nuovo e di duraturo, qualcosa che sfidi la morte e si rivolge a Margot e a Malfosse, indicando le rovine e alludendo allo spirito che crea e che distrugge: “Sì l’ho percepita anch’io la vita; ho percepito che la vita era passata di là, ma anche che era passata… Dopo il Partenone, altri uomini hanno fatto le cattedrali; certo che si può fare ancora qualcosa… siamo all’ultimo respiro, da noi non rinascerà più niente nelle forme che ci sono note, in Europa la forza della creazione non ripartirà se non dopo terribili dissoluzioni.” E nel drammatico confronto con Malfosse nelle pagine finali del romanzo confessa: “Credo che i comunisti siano tanto marci nel loro cuore e nel loro spirito quanto i capitalisti; ma per lo meno resta loro una scintilla di vitalità e di salute, vogliono il combattimento, la prova. Da questa lotta mi aspetto che venga fuori una profonda rinascita del pianeta o il suo sprofondamento secolare… questo è il fascino che mi ha fatto aderire al comunismo: me ne frego della dottrina”. Il bisogno che lo muove è, dunque, meno un’adesione ad una dottrina politica che un sentimento di rivolta contro un mondo decadente. In fondo, questo rivoluzionario che parla di spiritualità e dà il primato all’azione, potrebbe essere anche un fascista. E da che cosa è attratta Margot? Ceto dalla prestanza di Boutros. Ma anche dalla sua energia, dalla sua volontà di impegnarsi in qualcosa che vada oltre la propria vita. E cosa spinge Boutros nelle braccia di Margot? Forse il fatto che, come scrive icasticamente Drieu, la donna è “l’eterna telefonista” che “se la sapessimo interrogare, ci metterebbe ancora in comunicazione con le pieghe divine dell’universo.” Non è un caso se il regista Pierre Granier-Deferre nel 1977 ne trasse una memorabile versione cinematografica con attori di eccezione: Romy Schenider (Margot), Victor Lanoux (Boutros), Umberto Orsini (Rico) e Philippe Noiret (Malfosse). Il romanzo è scorrevole, ricco di dialoghi, e solo in qualche passo l’eccesso di introspezione e un bisogno esplicativo spezzano il ritmo narrativo e lo appesantiscono. In definitiva, come scrive Settimini, “la lenta ballata di Una donna alla finestra è musica, è parola della terra e dei cuori, della luce e dei silenzi nei quali l’estate greca e l’umana voce pongono, per dirla con un verso di Cardarelli, qualche cadenza dell’indugio eterno.”