La guerra. Cosa tremenda ma, purtroppo, ineludibile. Incancellabile. Vi è sempre chi invade e chi difende. Vi è sempre chi combatte e chi muore. Per una causa, per un’ambizione, per la gloria. Per una Patria. Una festa crudele già raccontata secoli fa da Omero. Nell’Iliade — le radici della nostra Civiltà — vi è tutto. Achille è un rompiscatole privilegiato — tallone permettendo è sempre un semi-dio — ma poi, sotto le mura di Troia, sono gli uomini — Ettore e Patroclo, Ulisse e Agamennone — a combattere. A sfidarsi. A morire. Con i loro pensieri e le loro paure.
È la canzone dell’eterno soldato. Da Salamina all’Afghanistan. Sul terreno non esistono “super eroi” ma vi è solo e sempre l’uomo. Il soldato che marcia con trenta chili di materiale sulle spalle sino al’obiettivo e attende il momento fatale. Lo scontro. I lampi, le grida, i morti. Pochi minuti, forse attimi, poi, il silenzio e sul terreno i corpi dei nemici e dei camerati. Sangue. Tanto sangue.
Storie di ieri e di oggi. Storie anche italiane. Storie dei “nostri” soldati impegnati ancora in questi giorni in Afghanistan e in Iraq. Storie che quest’Italia post eroica e cialtrona non vuole conoscere, non vuole sentire. Meglio le cazzate della televisione sulle “missioni pace”. Per fortuna, uno scrittore autentico come Giampiero Cannella — uomo elegante, intellettuale raffinato e, cosa insolita nel panorama editoriale, profondo esperto di cose militari e orientali— ha finalmente raccontato.
È “Task force 45, scacco al Califfo” (Luca Poggiali editore, pagine 160, euro 15), un libro formidabile in cui s’intrecciano tante storie, apparentemente distanti tra loro ma tutte, fatalmente, incastonate nel “great game”medio orientale. Un inferno. Con scrittura sicura e ritmo cinematografico, Cannella narra le fatiche, gli sforzi della piccola compagine chiamata, appunto, Task force 45. Duecento uomini. Gente seria e responsabile, persone coriacee e strutturate. Professionisti solidi e preparati. Sono gli incursori del IX° Col Moschin, gli specialisti del Comsubin, i carabinieri del Gis, gli arditi del 17° stormo dell’Aeronautica. Accanto a loro, i ranger del IV° Alpini paracadutisti e gli acquisitori obiettivi del 185° Folgore e, a lato, gli gli 007 dell’Aise. Un mondo castrense, fiero e valoroso. Come nell’Enrico di Shakespeare «We Few, we happy few, we band of brothers».
Il romanzo non racconta solo una missione difficile, durissima, ma diventa l’occasione per tratteggiare caratteri, atteggiamenti, problematiche di protagonisti e comprimari. Vicende vere di gente vera. Giampiero ha dipinto un quadro in cui solo nomi sono di fantasia ma gli intrecci, le vicende, i personaggi sono autentici o verosimili. Cannella è onesto. Non inventa nessun “Rambo”, non snocciola calibri, numeri, sigle ma, pagina dopo pagina, cerca di capire i tanti perchè. Per esempio, cosa motiva un ragazzo italiano a scegliere la strada più difficile. I Corpi speciali. Per poi ritrovarsi tra Herat e Kandahar – onestamente posti di merda — a preparare una “killing zone”, un’imboscata o a trattare con presunto informatore o con un alleato infido. Con il rischio (reale) d’essere accoppato sul posto. Al tempo stesso l’autore ha voluto, ignorando inutili schemi islamofobici, penetrare nei meccanismi mentali dell’”altro” per indagare le ragioni profonde di una “guerra santa” implacabile e apparentemente, solo apparentemente, incomprensibile. Uno sforzo che regala al lettore un piano di lettura inusuale e preziose chiavi interpretative.
“Task force 45” non a caso è impreziosita dall’introduzione di Gian Micalessin, uno dei migliori reporter di guerra italiani. Gian, persona molto parca nei giudizi, ha definito il romanzo di Cannella all’altezza dei libri di Tom Clancy. Un apprezzamento non da poco (anzi) che condividiamo pienamente. Buona lettura.