Quel “perché non possiamo rivotare Alemanno” che campeggia a quattro colonne sul Foglio di oggi non si situa solo nella tradizione degli endorsement che il quotidiano di Giuliano Ferrara è solito produrre (con onestà intellettuale e spirito anglosassone inediti in Italia). Ma, oggettivamente, è la prova del nove che il rapporto privilegiato della destra italiana con l’intelaiatura storica del centrodestra è quasi del tutto concluso.
Il risultato del primo turno delle elezioni romane, del resto, nasceva come l’estremo tentativo – per la destra degli ex An – di dimostrare come il “laboratorio Roma” potesse rappresentare ancora un serbatoio, se non di idee, per lo meno di consenso. Serbatoio tale da poter rappresentare un contraltare all’avanzata del partito personale di “Forza Silvio”. E invece il risultato deludente del primo round ha confermato che anche la Capitale ha abbandonato (con l’astensione) la sua naturale vocazione di balsamo per i dolori della destra posfascita.
Lo stesso Berlusconi del resto, durante il comizio di chiusura al Colosseo, non nascondeva già tutto il suo fastidio verso la piazza semivuota. Anche se, in realtà, il mancato feeling con Alemanno si situa nella notte dei tempi, dato che l’ex capo della destra sociale non è mai stato vicino al leader del Pdl e oltretutto – nella sua parabola non sempre lineare – ha tentato anche l’avventura ardita, subito cestinata, di “Italia popolare” (direzione Partito popolare europeo) proprio per consegnare agli storici la stagione del Cavaliere. Sappiamo, poi, come sono andate le cose.
Il Foglio dunque, in uno speciale dove vengono messi in controluce tutti i guai e le insufficienze della gestione Alemanno, fa sì un’operazione politicamente legittima. Ma allo stesso tempo – a pochi giorni dal ballottaggio – si innesta come un montante potenzialmente letale per le velleità (peraltro scarse) del sindaco uscente. Tutto questo nel momento in cui i segnali di un partito “del presidente” – ossia di una struttura di partito pensata esclusivamente come strumento personale di Silvio Berlusconi – continuano ad abbondare. Le riunioni “separate” con cui il Cavaliere riceve “falchi” e “colombe” sembrerebbero confermare come, davanti al nodo delle sentenze della Corte costituzionale e dei processi a carico, l’ipotesi sfascista delle larghe intese tutto è tranne che un’utopia. E in questo quadro di spazio per la destra residuale nel Pdl non ce ne sarebbe proprio in un’eventuale ricorso alle urne.
Da una parte, insomma, ci si attrezza già per una riedizione in grande stile di un agognato nuovo centro (i tipi di “Vedrò” fremono) preparato dalle larghe intese permanenti. Dall’altra i pasdaran del berlusconismo si preparano per la battaglia finale contro la magistratura. E la destra? Ancora una volta si fa cogliere impreparata, indecisa, divisa. A tratti nichilista. Perché in questo momento, invece di elaborare, rimane lì a chiedersi grossomodo questo: “La sortita di Gianni Alemanno al secondo turno – allora – sancirà o sconfesserà in modo netto questa linea di marginalizzazione in atto?” La risposta è già data: basterebbe leggere i giornali. Vabe’ anche i siti…