3 giugno 1992. «Gli italiani, i siciliani che, finalmente, insorgono contro il potere mafioso devono sapere che lo Stato, con le sue leggi, la sua cultura, con tutte le armi della democrazia, è accanto a loro, per tutelarli e incoraggiarli. Altrimenti nasceranno rassegnazioni e sfiducie: la mafia potrà dimostrare di essere più efficace, più credibile, più sicura del governo romano. Questo non possiamo e non dobbiamo consentirlo, noi che (contrariamente a Norberto Bobbio) non ci vergogniamo affatto di essere italiani, noi che siamo italiani come Giovanni Falcone, come Libero Grassi, come Mauro Rostagno, come tanti italiani ammazzati da gente che non si sente italiana, ma che cerca la sua patria (gli ideali, i valori, l’ identità ) in un miserabile pacco di soldi. L’infame copertina del settimanale americano Newsweek dipinge la Penisola come una nuvola di fumo che scaturisce da una pistola. Eppure il titolo dice che l’Italia è contro la mafia, e il grande articolo spiega correttamente che tanti italiani, tanti siciliani si ribellano a Cosa Nostra. Noi non coltiveremo alcun complesso di inferiorità . Nessun cittadino spagnolo perde la testa di fronte agli attentati degli indipendentisti baschi. Nessun americano ritiene che la patria sia in pericolo, quando torme di diseredati mettono a ferro e fuoco Los Angeles. E quando l’Ira fa esplodere una bomba, nessun inglese si vergogna della propria identità. Tutti pensano, semplicemente, che ci sono avversari da combattere, e che questa lotta (purtroppo) bisogna affrontarla, e tentare di vincerla, senza perdere il coraggio. La mafia è un potere nemico, che aggredisce l’ Italia. Noi non ci vergogniamo di stare dalla parte di chi la difende, dalla parte di chi è orgoglioso di essere italiano».
Ecco un estratto dell’editoriale di Giuliano Zincone, sul Corriere della Sera, in prima pagina, contro la lentezza dell’approvazione della legge antiracket, “ferma” per non si sa quale motivo. L’editoriale è la testimonianza di un cambiamento di atteggiamento, di una vitalità – rabbiosa, certo; sana, sicuramente – che attraversa la Sicilia e costringe il resto del paese a non voltarsi dall’altra parte. Eppure sono giorni confusi, complicati: i palazzi del potere cercano la quadra.
Il “migliorista” Giorgio Napolitano viene eletto presidente della Camera, dopo la bocciatura di Stefano Rodotà da parte dell’aula – ah, i corsi e i ricorsi. Rodotà era il candidato ufficiale del Pds; bocciato due volte lunedì e due volte martedì, il prof. prende atto delle manovre interne anche al suo partito e ne lascia la presidenza (oltre alla vicepresidenza della Camera). I giornali danno ampio risalto alla possibilità di un incarico a Craxi per la formazione del governo, anche se in quei giorni prende piede un nuovo metodo per la formazione dell’esecutivo: la “nomina” più che l’incarico. Metodo pensato per uscire dallo stato creato dai partiti, su tutti la Dc, ancora lontana dal trovare una soluzione al problema “segretario”.
All’interno del Csm, intanto, infuria la polemica. La seduta plenaria dedicata alla riapertura dei termini del concorso per la nomina del Superprocuratore diventa occasione per uno scambio durissimo di accuse sulla figura di Falcone. Ad aprire le danze è Pio Marconi (consigliere laico socialista) che, parlando della scelta di aver “preferito” Cordova a Falcone, dice: «Affermare che un giudice soggiaccia a centri di potere, significa rappresentarlo come espressione di un sistema istituzionale, come nemico dello stato. Demonizzarlo. (…) Anche se non c’è una connessione tra i due episodi deve far riflettere il fatto che gruppi associati della magistratura hanno chiesto l’abrogazione della legge sulla superprocura e contemporaneamente e’ avvenuta la strage di Capaci».
A Marconi risponde Elvio Fassone (Magistratura Democratica): «Riserve e critiche sull’istituto della Dna non hanno mai investito l’indiscussa capacità professionale di Giovanni Falcone, ma hanno semplicemente condotto una parte del consiglio a ritenere preferibile che, un istituto dotato di tali potenzialità, fosse affidato a magistrati più lontani dal potere politico che lo ha voluto».
Per Mario Patrono, laico del Pds, si è svolta una «vera e propria guerra lunga, sleale ed oltraggiosa condotta dal partito trasversale di Palermo contro Giovanni Falcone. (…) È inammissibile che proprio all’interno del Csm abbia trovato sponda un simile modo di operare». Patrono chiede, quindi, di riaprire i termini del concorso proprio per consentire al Csm di riscattarsi.
Violenta la reazione di Gianfranco Miglietta (Magistratura Democratica), componente della commissione incarichi: «In questa vicenda se c’è un magistrato veramente delegittimato questo è Cordova. (…) Prima ancora che la commissione esaminasse il curriculum dei candidati per la Superprocura, il presidente della Repubblica e il ministro della Giustizia avevano fatto sapere che il candidato era uno solo, Giovanni Falcone». Il principio costituzionale della separazione dei poteri, secondo Viglietta, è ormai diventato «carta straccia (…) e l’on. Martelli chiede la riapertura dei termini del concorso e propone subito dopo il nome di Borsellino». Insomma, il messaggio è chiaro: dopo Falcone, avrebbe “impallinato” anche Borsellino.
Dopo altri duri interventi, il plenum, per mancanza del numero legale, rinvia alla seduta del giorno dopo ogni decisione sulle proposte emerse durante la discussione. Prima di chiudere l’incontro, Gennaro Marasca (Magistratura Democratica) propone che il Csm istituisca una borsa di studio intestata alla memoria di Giovanni Falcone e riservata ai laureati in giurisprudenza con tesi sulla lotta alla criminalità organizzata. Ottima idea, che sa però di sberleffo.
Mentre il plenum litiga, sono tanti i giudici che presentano le domande per far parte del pool di magistrati che dovranno indagare a Caltanissetta sulla strage di Capaci. Tante, da tutta Italia.
@barbadilloit