Mentre in Italia ritornano le spoglie di re Vittorio Emanuele III, l’Austria sembra orientata a voler adottare le minoranze altoatesine di lingua tedesca e ladina. Pare che un secolo sia passato invano.
La notizia che ha fatto sussultare il Sud Tirolo è relativa all’iniziativa del governo austriaco che sarebbe pronto a riconoscere un secondo passaporto ai cittadini italiani che però si sentono tedeschi, austriaci. Non si capisce bene quali sarebbero gli effetti di questa concessione agli altoatesini che ne faranno richiesta. Fino a prova contraria, al Brennero non c’è (più) la frontiera. E basta una carta d’identità per percorrere in lungo e in largo il Vecchio Continente, da Lisbona a Palermo passando per Berlino, Stoccolma e Copenaghen. È un fatto puramente simbolico, ma i simboli sono pur sempre importanti.
La notizia che ha fatto sussultare l’Italia, invece, è quella del rientro in patria dei resti mortali di Vittorio Emanuele III. Il Re Sciaboletta, che riposava ad Alessandria d’Egitto, è stato traslato in gran segreto, nel santuario di Vicoforte, in Piemonte. Il fatto ha immediatamente sollevato un polverone, un vespaio di polemiche e la solita divisione tra favorevoli e contrari.Un combattimento a colpi di scomuniche incrociate, interviste stucchevoli e appelli saputelli. Pietas concederebbe pure a Vittorio Emanuele la sepoltura in quella nazione che, con la rocambolesca e ignominiosa fuga di Brindisi, ha irrimediabilmente spezzato in due. La decenza, invece, imporrebbe silenzio, discrezione e (soprattutto) di lasciar stare il Pantheon così com’è.
Le notizie che ci hanno fatto sussultare, nella loro disperata vacuità, ci mostrano l’ovvio. Ci invitano a constatare l’assenza più ingombrante, quella del concetto di nazione come comunità condivisa, come sintesi minima attorno alla quale si declina la vita di un popolo. Invece nulla: a Vienna nessuno dice niente (nemmeno per prenderli doverosamente in giro) mentre i Savoia chiedono il rispetto di quel valore che proprio Vittorio Emanuele III ha sconfessato mettendo la sua incolumità davanti alle sue responsabilità di re e “padre” di quella nazione che, dopo quasi ottant’anni, è ancora sanguinosamente divisa.