![La prigione del politicamente corretto](https://www.barbadillo.it/wp-content/uploads/2017/12/Schermata-2017-12-13-alle-14.34.43-310x209.png)
Giuseppe Casa (già autore per Transeuropa, Rizzoli, e Il Clown Bianco) si scaglia con decisione contro la falsità del politicamente corretto sui social e contro gli scrittori che, invece di cercare di far bene il proprio lavoro, vanno a caccia di facili consensi
La vita cambia in fretta. Una sera ti metti davanti a un computer e la realtà che conoscevi è finita. È stato un mio amico omosessuale a dirmi dell’esistenza di Facebook. Un altro, uno scrittore che stimavo abbastanza, mi ha detto “se non stai su Facebook, nessuno ti conosce”. “E poi un’altra cosa”, ha aggiunto. “Cosa?”. “Su Facebook si cucca di brutto”. La cosa mi ha dato da pensare.
Così scopro Facebook e, attraverso questo, tante belle persone che prima non conoscevo. Capisco che alcune amiche non le potrò mai avere, perché hanno troppi follower e non mi possono accettare. Ma altre cose mi sfuggono. Inizio a fare selfie e scrivere stati che ritengo intelligenti. Provo a illustrare la mia weltanschauung, corredata di foto dei miei libri pubblicati. Di me che faccio il bagno nella vasca. Nessuno mi fila. Neanche quelle ragazze a cui avevo chiesto l’amicizia, con tanto di emoticon fighissimi.
![Facebookmania](https://www.barbadillo.it/wp-content/uploads/2017/12/copertina-2-310x163.jpg)
Per me una delle qualità più importanti della vita è tenere duro in vista della felicità: ho conosciuto tantissime persone incapaci di farlo. Si sono adattate, accontentate, hanno fatto buon viso a cattivo gioco. Ma io no, io non sono cosi. Di ragazze ne ho avute tante. In alcuni casi sono arrivato a un soffio dall’impegnarmi a lungo termine, ma a un certo punto sono stato abbastanza egoista da defilarmi. O trovo una che per me sia tutto, o continuerò, con relativa felicità, una routine di monogamia seriale, con intervalli di solitudine, celibato involontario e disperazione totale.
Nell’attesa, seguo gli stati di scrittrici e scrittori più importanti di me, più famosi, che hanno vinto premi statali, che sono stati tradotti all’estero, ospitati in tv. C’è sempre qualcosa da imparare. Do una scorsa anche ai profili di quelli meno noti. Mentre i lettori li snobbo. I lettori, la massa non capisce un cazzo di libri. Vedo persone felici, che si divertono, che mi creano quasi da subito un po’ di insoddisfazione e di depressione. Poi, mi dico, ma no stanno scherzando. Invece no, fanno sul serio. Sono tutti lì a pubblicare romanzi, a recensire libri, a citare versi, a mettere like e a ricambiare like in continuazione, a portare avanti battaglie umanitarie. Alcuni scrivono dei veri e propri saggi, lì sul posto, di getto. Ma come fanno? Niente è facile. Scrivi e scrivi e scrivi. Sei uno scrittore? Dimostralo. E a forza di like e commenti la popolarità cresce. È cosi che funziona Facebook.
![Giuseppe Casa](https://www.barbadillo.it/wp-content/uploads/2017/12/foto-11-310x388.jpg)
Allora iniziano i primi timidi commenti sui profili degli altri. Poi, mi faccio più spavaldo e inizio a dire veramente quello che penso. Perché per me è naturale discutere e litigare con gli altri, come è naturale litigare con se stessi: la mente opera per contraddizioni e il pensiero è indistinguibile dal dubbio.
Ho ricevuto il mio primo blocco. Cazzo, ora cos’è ‘sto blocco? Io conosco il blocco dello scrittore, conosco il blocco del lettore. Ma il blocco di Facebook? Bloccato tre giorni. Cattivo. Cattivissimo. Diceva Facebook. Poi mi chiedeva se avevo capito. Dovevo dire sì. Clicco “Ho capito”.
Mi sentivo travolto da un fiume in piena.
Mi sentivo affogare.
Mi sentivo morto.
Il secondo blocco l’ho ricevuto perché sulla foto del diario decido di mettere quel monumento letterario che è Salò e le 120 giornate di Sodoma del Marchese De Sade, con due figure di profilo che s’inchiappettano con maestria.
Il terzo blocco arriva per non so quale motivo. È anche possibile che la smania esagerata di sembrare intelligente si sia manifestata nella tendenza a esprimere opinioni veementi di taglio, in senso lato, negativo. Mi spiego meglio: avevo accusato alcuni scrittori, specie autori di fama nazionale con una reputazione, a mio avviso, immeritata. Per questo mi avevano bloccato? Era possibile? Sì, era possibile.
![Le più importanti pubblicazioni (libri e romanzi) di Giuseppe Casa](https://www.barbadillo.it/wp-content/uploads/2017/12/foto-2-310x88.jpg)
Di recente mi sono accorto che non sono l’unico a subire questo feroce trattamento. Il giornalista Federico De Vita ha scritto un pezzo (su Il Foglio del 26/11/2017) ed è stato bannato, bloccato, censurato dallo scrittore Candelabro Frogherello (così lo chiama lui sarcasticamente), il quale inizia il suo romanzo con un pompino. “Frogherello è un individuo magmatico, una colata di viscidume che ha fondato la propria carriera proprio su Facebook”, scrive il De Vita, “ma non sulla qualità della prosa. Romanzo acquitrinoso e un po’ bolso, dal passo autobiografico che ha attirato l’attenzione della casa editrice il Vascello di Perseo (nome in codice anche questo di una nota casa editrice)”.
Il quinto blocco credo sia partito da un critico letterario, chiamiamolo Pierpaolo Sereno, amico di cantanti, amico di amici, aspirante cantante e aspirante scrittore, il quale ha dato alle stampe un libro che s’intitola Tu scendi dalle stelle. Fin qui tutto bene. Il problema è che se ce l’hai tra gli amici e inizia a parlare di questo libro un anno prima dalla pubblicazione, con collette di like e iscrizioni obbligatorie sulla pagina, dopo un po’ rompe i coglioni, anche se lui dice di aver scritto un capolavoro. Poi è iniziato il tour nazionale con tanto di furgone che riprendeva la copertina di Tu scendi dalle Stelle, i selfie e gli autografi da Brindisi a Caltanissetta. E siccome sono uno stronzo, senza mai aver letto il libro, faccio come Fracchia, dico quello che penso del testo, tanto chi mi fila a me. Quinto blocco.
Il sesto blocco, lo so, è colpa mia. In un’intervista, rispondendo alla domanda, dello scrittore e giornalista Matteo Fais, riguardo a cosa pensi della “scrittura femminile”, devo aver toccato la sensibilità di una scrittrice postfemminista ferocemente determinata, offesa soprattutto perché avevo fatto solo il suo nome, come dire, non sono l’unica.
C’è un modo di sentire diffuso su Facebook. Uno sdegno preconfezionato basato su un piccolo insieme di regole severe da applicare sistematicamente. Un universo concentrazionario che mette in atto una sorveglianza permanente sull’uso del linguaggio e decide cosa si può dire e cosa no. Nonne, matrone e tenutarie di profili che usano il femminismo e altre battaglie, di per sé nobilissime, come pretesto per bullizzare chi esce dal seminato, facendo gruppo e definendo i destinatari della propria insofferenza in base a linee immaginarie di moralità politically correct. Inorriditi, si stringono a testuggine come legionari in guerra, quando qualcuno ha un’opinione diversa su qualcosa e usa un modo di esprimersi che non sia il riflesso del loro debole e vanitoso piagnucolamento e della loro indignazione. Una “Pubblica Sicurezza” del linguaggio di stampo autoritario, che contrariamente a quello che predica, non accetta le differenze.