La strada verso la secessione morbida è stata aperta. Con le consultazioni referendarie in Veneto e Lombardia il destino dello Stato nazionale è segnato. La “disunità” è nell’ordine delle cose e nessuno potrà impedirla. L’infernale meccanismo costruito, con diabolica intelligenza dal centrosinistra e dal centrodestra (apparentemente con intenti dissimili, ma in realtà con lo stesso scopo), ha offerto l’ineccepibile legittimazione giuridica ai lavori di scardinamento dell’impianto unitario della Repubblica. Che esso fosse già stato minato dalla riforma del Titolo V della Costituzione si sapeva, ma pure ci si illudeva che le conseguenze fossero minime. Invece, due intelligenti “governatori” leghisti hanno pensato che il momento era propizio per incominciare a scrivere l’ultimo atto non di un federalismo (che impone lo scioglimento dello Stato centrale con un processo di revisione costituzionale integrale ed organico), ma, appunto, di una secessione morbida mascherata da autonomismo spinto fino all’estremo limite. Il che vuol dire semplicemente la rottura di quel restava di un patto statuale che, sia pure in maniera contraddittoria e sbrindellata, legava tutte le Regioni in una cornice di unità nazionale.
Dopo la pronuncia degli elettori della Lombardia e del Veneto, si presume che coloro che non hanno votato (e sono circa la metà che sommati ai contrari formano la maggioranza) dovranno subire il diktat di una parte minoritaria la quale, per ragioni diverse, ritiene giusto sottrarsi al dovere di solidarietà nei confronti delle aree del Paese più povere per spendere nei confini delle sue Regioni la ricchezza prodotta. E, nello stesso tempo, gli autonomisti credono che sia lecito concepire l’educazione scolastica, la ricerca scientifica in maniera diversa a seconda delle sensibilità territoriali, non diversamente da come accade lecitamente in Stati che sono realmente autonomi e sovrani. Ma anche la sanità, per i suddetti, dovrebbe avere connotazioni peculiari come se gli italiani fossero diversi ed “estranei” da un capo all’altro della Penisola. Stupefacente.
L’approdo all’autodeterminazione?
Manca la parolina “autodeterminazione” (ma ci si arriverà, vedrete) per completare l’impazzimento della maionese politico-istituzionale che avrà il suo culmine, con ogni probabilità, quando si formerà, con l’adesione determinante della Lombardia, del Veneto, del Trentino-Alto Adige e del Friuli Venezia Giulia, la macro-regione euro-alpina-adriatica alla quale si assoceranno la Baviera, il Tirolo, la Slovenia: un capolavoro che sconvolge ancora di più l’Europa le cui istituzioni sembrano disinteressarsi di questa prospettiva che ne cambierebbe radicalmente i connotati.
Del resto, i movimenti autonomisti e separatisti continentali, dopo la sciagurata (per il Regno Unito, naturalmente) Brexit, salutata stupidamente da sovranisti all’amatriciana, come un traguardo luminoso (l’uscita dall’Unione, liberamente sottoscritta, può avvenire soltanto riformando i Trattati…), hanno ripreso fiato, si sono entusiasmati all’idea di inventare piccoli Stati senza minimamente sospettare che saranno come isolotti in un Oceano tempestoso. Come si fa a far cambiare idea a chi è asserragliato dietro ad un’idea funzionale alla logica globalista delle grandi potenze che avranno facile gioco a guadagnare quel che vogliono dalla frammentazione degli Stati nazionali?
L’individualismo diventa la maschera dell’egoismo delle regioni
L’ideologia sottesa al separatismo e all’autonomismo potremmo definirla come il prodotto dell’ “individualismo statalista”, nel senso che qualsiasi Regione, nel nome di una diversità difficile peraltro da riconoscere, si arroga il diritto di ergersi contro il potere centrale e denunciarlo. In Catalogna è quel che è avvenuto ed il diritto degli Stati è quello di domare le crisi di legalità soprattutto quando sfociano nell’amputazione di parti significative della loro struttura che si è formata nel corso del tempo.
Quanto poi al caso italiano, si potrà pure sostenere che i criteri dell’autonomismo lombardo-veneto siano ispirati alla voglia di sottrarre quanto più potere decisionale al potere centrale (peraltro già ridotto all’osso). Tuttavia se tale logica dovesse – come sembra – estendersi a tutto il Paese, non sarebbe il caso di far notare ai “secessionisti” (perché così ci sembra che possano essere definiti correttamente) che sono state proprio le Regioni, pozzi senza fondo nei quali sono finite le risorse economiche più ingenti negli ultimi quarantasette anni, a determinare non soltanto lo scollamento dell’unità nazionale, ma l’impoverimento dell’Italia, oltre ad aver alimentato la corruzione a tutti i livelli?
Il riformismo autentico poteva passare dall’abolizione delle regioni
Ci saremmo augurati che negli anni passati, alcune forze politiche avvedute e inclini a considerare la coesione nazionale come un bene da salvaguardare, avessero lanciato una sfida al secessionismo strisciante proponendo l’abolizione delle Regioni. Ma l’auspicio è rimasto un sogno trasformatosi in incubo quando abbiamo pur dovuto constatare che alla dilatazione dell’autonomia regionale non ha fatto da contrappeso un rafforzamento istituzionale dell’unità della nazione con l’adozione della Repubblica presidenziale.
Godiamoci adesso lo spettacolo di trattative infinite che sfoceranno in un voto parlamentare (non certo in questa legislatura) che ratifichi il progetto autonomista che non si fermerà ai confini della pianura Padana.