“Libero, creativo, partecipativo e solidale”: questo il titolo scelto per la “48° Settimana Sociale dei Cattolici Italiani”, in programma a Cagliari dal 26 al 29 ottobre. Sono quattro aggettivi che danno il senso immediato dell’appuntamento, ma che impongono anche una declinazione non banale dei temi del lavoro, oggetto di trasformazioni epocali. Se è necessario – come si può leggere nelle “Linee di preparazione per la 48° Settimana Sociale” – “aprire processi” che portino a rimettere il lavoro al centro delle preoccupazioni quotidiane del mondo cattolico e più in generale della società italiana, d’altro canto appare urgente tornare a parlare del “come” realizzare concretamente una socialità all’altezza delle sfide contemporanee.
Citare le fonti, ricordare la prima Dottrina Sociale della Chiesa, quella della “Rerum novarum” (1891), appellarsi alla Costituzione italiana (al citatissimo art. 1, “la Repubblica è fondata sul lavoro”) deve servire – ci si permetta l’auspicio – per porre, oggi, in modo chiaro e convinto, qual è la via partecipativa – snodo essenziale in ambito lavorativo – a cui il mondo cattolico intende richiamarsi. E’ la partecipazione conflittuale degli Anni Settanta del ‘900 ( a cui anche il sindacalismo cattolico si adeguò) ? E’ un generico solidarismo etico (la vicinanza ai più deboli) ? E’ il realismo classista di un Dossetti ovvero l’idea della “socializzazione”, che dal Concilio Vaticano II – per dirla con un Bartolomeo Sorge d’annata – ha reso anacronistica, di fronte all’odierno pluralismo ideologico, ogni coesione di tipo corporativo ?
Di fronte alla criticità della situazione italiana, su cui si affastellano temi brucianti, quale la disoccupazione giovanile, la precarietà contrattuale, la povertà associata alla crisi dell’occupazione, le questioni connesse al lavoro femminile e alla sue implicazioni sulla vita familiare, riportare il lavoro, il senso del lavoro ed il suo valore, al centro della riflessione contemporanea, è il primo, essenziale passo per ritrovare le “buone pratiche” in grado di favorire, su questi crinali, una stagione di cambiamenti. Dopo però bisogna misurarsi coraggiosamente, sul piano della concretezza, rispetto alle esperienze partecipative teorizzate e realizzate. Perché – non dimentichiamolo – oltre l’art. 1 della Costituzione c’è quell’art. 46 (che “riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalla legge, alla gestione delle aziende”) mai applicato. C’è – nella società italiana – un’urgente domanda di giustizia sociale e di ridistribuzione degli utili. C’è la crisi degli odierni sistemi di rappresentanza politica e la necessità/possibilità di integrarli con forme di rappresentanza in grado di favorire una maggiore integrazione/specializzazione nello svolgimento dei processi politici, attraverso le categorie produttive e professionali organizzate sulla base delle competenze.
Se la tradizione corporativa, che fu interna alla Dottrina Sociale della Chiesa e che vide in Giuseppe Toniolo il suo primo, entusiasta paladino, è completamente archiviata, che cosa rimane, da proporre, di realmente alternativo alla crisi del vecchio sistema ? Quando Papa Francesco parla di partecipazione a che cosa pensa ?
Al di là della lotta di classe e del suo storico fallimento (“… tutti, operai e padroni, in unione di forze e di mente, si adoperino a vincere tutti gli ostacoli e le difficoltà” – scriveva, nel 1931, Pio XI nella “Quadragesimo Anno”) solo un’economia sociale a base partecipativa può porsi, oggi, quale concreta alternativa al modello dominante del capitalismo anglosassone.
Non si inventa niente. Basta andare alle radici della Dottrina sociale.
Su questa via, l’augurio è che dalla “48° Settimana Sociale dei Cattolici Italiani” riparta il richiamo forte all’originale ed originaria identità sociale della Chiesa, passando finalmente dalle idee ai fatti, dalle affermazioni di principio, spesso sfumate, a chiari orientamenti programmatici. Ne trarrebbe giovamento tutta la società italiana, lavoratori compresi.