Henri Toulouse-Lautrec aveva le chiavi per le porte della modernità. Dai Futuristi ai simbolisti, tutti guardarono all’artista maledetto, al pittore delle sale da ballo. La mostra milanese – “Il mondo fuggevole di Toulouse-Lautrec”, dal 17 ottobre al 18 febbraio – torna su un tempo intontito dalla modernità. È storicizzato che, con la sua arte, l’immenso artista tenesse insieme aristocratici e donne dei bassifondi. Ballerine squattrinate e signorotti in ebbrezza mondana parlano, con duecentocinquanta opere, nelle sale del Palazzo reale.
Ora c’è il meglio di Tolouse-Lautrec proveniente da la Tate Modern di Londra, la Gallery di Washington, il Museo Puskin di Mosca. C’è la ‘Clownese assise’(1896) gambe forti e calze nere, anima del Moulin Rouge eternata in una litografia. In un olio su cartone è sempre lei, come in una foto rubata all’interno di un camerino, icona di un fine secolo frenetico.
In un’esposizione costruita mediante un percorso meticoloso, ecco acrobati, bustini colorati, celebrità da poco. E il capolavoro dei manifesti ‘Jane Avril’ (1893) sta lì al centro sala. Raffinatamente sobrio. Con i suoi tre colori è pura illusione prospettica. L’immagine è comandata da un contrabbasso che pare suonare ancora, mentre le gambe di Jane danzano da simbolo della belle époque, epoca finita mesta o dimenticata.
È l’occasione per visionare, di un disegnatore innovatore, l’intera raccolta dei manifesti, ossia una collezione completa, per la prima volta, in Italia. Da sempre abbiamo negli occhi le preziose stampe che narrano la Montmartre di sale da ballo e le compagnie bizzarre catturate nei manifesti sperimentali.
La visita lascia poi una sensazione, un contrasto tra un’umanità stanca o svagata – le prostitute delle dodici ore – e le pareti dell’antico palazzo milanese. Così pareti e pannelli quasi non trattengono dolori e gioie delle cocotte del pittore bohémien. E a questi personaggi femminili, consumati dalla moderna vitalità, il pittore dedicò tutto se stesso.
Claudia Zevi e Danièle Devynck, curatrici di un’operazione storicamente completa, sezionano il tutto ed ecco le stampe giapponesi amate da Toulouse-Lautrec, fonte di originali ispirazioni; le fotografie ironiche di una esistenza festaiola – ce n’è una in cui l’artista sta defecando sulla spiaggia -; e poi i dipinti dei cavalli al galoppo e dei silenziosi cani da salottino. Così il resoconto monografico diventa intelligentemente articolato; o meglio, un resoconto esaltato dallo spazio offerto ai manifesti esposti come fossero incollati lungo muri di città, lungo uno scenario che pronuncia le vertigini parigine e il senso del “mondo fuggevole.”