L’espressione politically correct, secondo le intenzioni dichiarate, sta ad indicare quel complesso di cautele e riguardi – nel linguaggio e negli atteggiamenti – a tutela di determinate categorie sociali ritenute meritevoli di particolare protezione. In realtà, esso ha assunto le sembianze di un feroce conformismo linguistico e intellettuale, uno strumento di controllo psico-poliziesco nelle mani del neo-totalitarismo “democratico”.
Le sue modalità di azione sono note: si traccia un confine al di là del quale ogni discussione è preclusa; ogni obiezione espone al rischio di pubblico linciaggio. Si tratta di una potente arma di condizionamento delle coscienze, che si esplica attraverso un rigido controllo sulle masse esercitato attraverso la televisione e gli altri media. Di fronte all’ambigua diffusione di “verità ufficiali”, pochi riescono a mantenere una reale indipendenza di giudizio e critica.
Uno degli argomenti-tabù situati all’interno del perimetro politically correct riguarda la sessualità, nella duplice declinazione di “identità forte” e di rapporti tra uomo e donna. Su questo argomento, Adriano Scianca ha pubblicato di recente, per Bietti, uno studio intitolato Contro l’eroticamente corretto.
Il merito dell’autore consiste nell’aver riaperto un dibattito su questioni che si sottraggono sempre più al confronto e diventano dogmi inattaccabili: dalla vera natura dei gender studies alla riproposizione di una metafisica del sesso; dalla marginalizzazione dei ruoli maschili ai legami tra nuova sessualità e capitalismo; dal ritorno alla ginecocrazia al dibattito sulla crisi della famiglia tradizionale.
Tra le varie manifestazioni della rivoluzione “culturale” ed egualitaria del secolo scorso, nessuna è stata così densa di conseguenze, radicandosi in profondità nella coscienza dell’uomo occidentale, come la cosiddetta “rivoluzione sessuale”; le sue principali articolazioni includono il femminismo come presunta “liberazione” della donna dall’oppressione maschile, il mutamento dell’opinione pubblica e della legislazione su temi riguardanti il divorzio, l’aborto e la contraccezione, l’emergere di un elenco sempre crescente di gruppi con peculiari “identità di genere” cui assegnare un posto nel pantheon degli oppressi.
Lo studio di Scianca prende le mosse dalla critica ai gender studies, denunciandone la natura ideologica. È su questo punto che vorremmo soffermarci.
Si parte da una constatazione elementare: la sessualità umana si articola nei tre livelli del sesso biologico, con tutte le sue caratteristiche fisiche e psichiche, del genere, che indica la percezione di sé come uomo o donna e gli aspetti culturali e sociali ad essa legati, dell’orientamento sessuale, che riguarda l’oggetto dell’attrazione erotica.
La tripartizione ricalca quella tradizionale dell’essere umano in corpo, anima e spirito (corpus, anima, mens / σωμα, ψυχή, νοῦς). Di norma, i tre livelli sono allineati; ma l’autore nota che il teorico gender fa leva sulle eccezioni, innegabilmente presenti, per affermare come fra essi non vi sia alcuna corrispondenza, ma pura casualità. Partendo da lodevoli propositi – combattere gli episodi di violenza e discriminazione – il discorso si incardina, pertanto, su percorsi incerti.
L’ideologia gender è frutto di una secolare riflessione filosofica, che forse inizia quando il filosofo francese Rene Descartes (1596-1650) concepì l’uomo come fantasma in una macchina – una mente imprigionata all’interno di un corpo. Il suo dualismo, che incarnò lo spirito del tempo, frantumò l’antica concezione dell’uomo come unità di corpo e anima e creò il palcoscenico per un quadro moderno in cui la mente è il “mastro costruttore” (pensiero astratto) e il corpo una cava di risorse da sfruttare illimitatamente. Non si è uomini o donne perché così si è venuti al mondo, traendo da ciò un valore fondamentale della nostra esistenza, ma la sessualità si riduce al campo aperto delle innumerevoli “scelte” individuali.
È importante notare che il cuore della teoria del sesso come “costruzione sociale” è un profondo malessere percepito nei confronti del corpo; il fatto stesso di venire nel mondo con una determinata fisicità, con tutte le sue caratteristiche (il sesso è solo una di queste), è visto come segno di schiavitù nei confronti di una natura malvagia, che genera nuova vita nella diversità, la quale deve essere superata proiettando in avanti l’utopismo di un mondo uniforme e omologato.
Il corpo diventa quindi un limite problematico alla libertà concepita come autodeterminazione anomica, riproponendo l’antica visione dello gnosticismo ellenistico (da non confondere con la vera gnosi). Carattere fondamentale di quest’ultimo è proprio un dualismo radicale: vi è una differenza abissale e incolmabile fra Dio e la materia; lo spirito è sostanzialmente estraneo all’universo materiale, dominio di una potenza negativa (contrapposizione di due princìpi in lotta fra di loro). All’irriducibilità fra Dio e natura va così a corrispondere quella fra spirito e materia e, a livello antropologico, fra anima e corpo.
Da un punto di vista metafisico e tradizionale, invece, l’identità sessuale rappresenta una via di realizzazione, un dato naturale al quale attenersi per riscoprire le proprie radici e “conoscere se stessi”. Si tratta di una missione da compiere nella dimensione terrena, una vocazione profonda, mentre l’attrazione sessuale è concepita come desiderio innato di far ritorno all’unità originaria. Il superamento della dicotomia maschile/femminile attraverso l’atto sessuale comporta una momentanea realizzazione sacrale, la riunificazione dell’elemento fisico con quello spirituale.
Ma all’uomo moderno, imbevuto di scientismo materialista, abituato a vedere il proprio corpo e la natura come macchine prive di significati superiori, questi sentieri sono ormai preclusi.
*Contro l’eroticamente corretto di Adriano Scianca per Bietti