Ricordate l’Aneddoto dei frantoi di Talete? Il celebre pensatore, coerentemente con la propria filosofia di vita, preferiva non fare delle tante conoscenze acquisite una fonte di guadagno, dando alle stesse un valore assoluto e fine a sé stesso. Costantemente criticato per questo, egli si era quindi deciso a compiere un’azione eclatante: acquistare tutti i frantoi della zona di Mileto e dell’isola di Chio in pieno inverno. Il motivo: la “previsione”, grazie allo studio dell’astronomia, di un successivo raccolto straordinario che, alla fine, tale si rivelerà. Talete, ottenuto quindi il monopolio in quelle zone, riuscì ad arricchirsi enormemente e in maniera del tutto accessoria. Non solo, riuscì così a dare un’enorme schiaffo morale ai suoi tanti detrattori “materialisti”. Il rapporto tra le conoscenze teoretiche acquisite e la possibilità di farle “fruttare” è sempre stato, dunque, oggetto di dibattito.
La riforma della scuola superiore
E’ in quest’ottica che sta facendo molto discutere, nel mondo dell’istruzione, la notizia di un’eventuale riforma della scuola superiore. L’intenzione è quella di ridurla a quattro anni anziché cinque, strutturandola similmente a molti sistemi scolastici. Le dichiarazioni del ministro Fedeli, in tal senso, sottolineano come questo cambiamento epocale gioverebbe molto ai nostri ragazzi. Gli stessi studenti infatti, secondo il MIUR, dovrebbero così essere meglio preparati ad affrontare la competizione transnazionale del mercato del lavoro. Peccato che, il mercato del lavoro che debbono affrontare sia sempre più flessibile. Questa riforma quindi, rafforzerebbe il rapporto scuola/lavoro, in una dinamica che attraverso la stessa “alternanza” sta interessando sempre di più anche i licei. Questo scenario, che privilegia indistintamente la formazione professionale all’istruzione classica, non può che mietere tante vittime: dai licei stessi, alle univeristà. I suddetti stanno quindi divenendo, sempre di più, uno strumento che possa inserirci velocemente nel mondo del lavoro. Implicitamente quindi, si vorrebbe che il fine della scuola, in senso lato, sia quello di rifornire le grandi aziende multinazionali. Un personale sempre meno qualificato ma anche meno acculturato, grazie ai tagli costanti che si fanno sui programmi.
No alla distruzione del liceo classico
Tornando alla nostra istruzione però, prima delle università, l’accento va posto su un’altra questione: l’idea che la scuola debba forzatamente preparare i ragazzi al mondo del lavoro, corre di pari passo con quella che sembra una distruzione “programmata” del liceo classico. Dietro al progresso tecnologico, inarrestabile, ci sono in realtà molti lati oscuri. La domanda che ci sentiamo porre è sempre la stessa: “Ha senso ancora oggi studiare due lingue morte come il latino e il greco?”. In realtà tale quesito non è altro che un “Velo di Maya”, dietro al quale si cela il tentativo, volenti o nolenti, di distruggere l’unica istituzione che crei una classe dirigente consapevole e pensante.
Nulla di elitario, solo che questo tipo di scuola è l’unica che ci consente di conoscere a pieno le nostre radici politico-culturali, attraverso le varie discipline: un mix di storia, letteratura, filosofia, filologia ma anche scienze e matematica. Solo studiando greco e latino, traducendo Seneca, Platone, Tacito, Polibio dalla lingua originale, diventiamo consci della nostra storia, della nostra cultura intesa nel senso più ampio del termine e possiamo consapevolmente esercitare il ruolo politico richiesto.
Oltre la povertà della cultura mercatista
In un paese, specchio di questo mondo sempre più tecnocratico e governato dalla grande finanza, il classico non può che porsi in controtendenza. In un’ottica neoliberista, dove il mercato fagocita tutto, dall’arte alla musica, passando per la letteratura e dove l’individuo apolitico e mediocre fa sempre più comodo, questa scuola “retrò” non può che rappresentare un pericolo per i poteri forti. In questo enorme “supermercato post 1989”, non c’è solo un appiattimento verso il basso e la perdita di ideali; c’è anzi, la cancellazione quasi sistematica dei veri valori quali la democrazia, la solidarietà e la giustizia sociale. Gli ultimi combattenti che in tal senso tentano di opporsi a questa globalizzazione, gli ultimi “idealisti”, assumono sempre più spesso le tinte di coloro che in nome delle loro idee arrivano a sacrificare sé stessi e molto spesso tanti innocenti che nulla c’entrano. Tanti innocenti che in nulla credono e che mai si sacrificherebbero per un’idea, per un’utopia. Questo mondialismo asettico, può essere combattuto solo conoscendo e conoscendoci. Nessuna scuola, in fin dei conti, insegna “storia della democrazia” come si fa insegnando il greco (da Solone a Pericle, dai 400 a Trasibulo, fino all’Ellenismo). Ma è evidente che lo smantellamento del nostro sistema educativo i induce a divenire automi, laboriosi e capaci di procurarci il pane lavorando, lavorando e ancora lavorando; meno capaci forse a pensare, a mostrare solidarietà, ad amare a vivere.
Ecco perché, quella che un tempo era la più classista delle scuole, oggi rappresenta l’ultimo vero baluardo che educhi i giovani a battersi contro le derive di questo sistema. Questa speranza permane, lo si è capito, perché il liceo classico insegna ad aprirsi e soprattutto a pensare con la propria testa; insomma, ad essere ribelli sempre e comunque, qualunque sia il sistema cui si appartiene o qualunque sia la bandiera che si sventola: rossa, nera, verde o fucsia. E’ importante che queste non vengano mai ammainate, ricordando che un uomo che è senza coscienza politica, consapevolezza di sé e delle proprie origini storico-culturali, indubbiamente, non è un uomo.