“La via delle vittorie inutili è lastricata di presunzione inoperosa” : questa la chiosa dell’editoriale di Alessandro Giuli, sull’ultimo numero di “Tempi” (“Segnali di vita ed errori da non ripetere – Come acculturare il centrodestra che verrà”). Quello di Giuli più che un editoriale è – nella sostanza – un vero e proprio “manifesto metodologico”, dedicato ad un centrodestra in forte crescita, grazie anche ai demeriti degli avversari, “scivolati a precipizio”, a cui giustamente si richiede di non ripetere gli errori del passato,a cominciare dal rapporto con il mondo della cultura, retrovia indispensabile per qualsiasi progetto politico.
Nessuna ripetitiva elencazione di buoni principi a cui fare riferimento (quanti ne abbiamo letti nel passato ?), ma una vera e propria “tabella di marcia”, molto concreta ed operativa.
Il direttore di “Tempi” pone l’accento sui sei punti essenziali, corrispondenti ad altri errori da non ripetere: presumere di poter fare a meno di una cultura alta e condivisa; presumere di poter fare a meno di adeguati investimenti economici in campo culturale; presumere che basti circondarsi di qualche accademico per risolvere la questione; presumere che il mondo della comunicazione e dell’intrattenimento (dalla televisione al cinema) non debba essere utilizzato quale campo d’azione per le “migliori riserve intellettuali”; “presumere che gli intellettuali di riferimento qui vagheggiati esistano e si stiano ponendo i nostri stessi interrogativi”; smetterla di presumere e mettersi al lavoro per fissare una strategia culturale comune.
Come ha ribadito lo stesso Giuli in un’efficace nota pubblicata sulla pagina “Off” de “il Giornale”: “Nel mio sogno, pochi ma pesanti e volenterosi soggetti culturali d’area si predispongono ad affiancare coralmente un ceto politico altrimenti indifferente o impigrito, conquistando spazi d’espressione qualificati, promuovendo idee e forme editoriali, artistiche, televisive e cinematografiche”.
Quella del direttore di “Tempi” è una provocazione che va raccolta. A cominciare dal mondo culturale. Non è infatti esclusiva responsabilità degli apparati politici di centrodestra se azione politica e cultura hanno faticato, nel passato, ad essere declinati insieme. Spesso gli intellettuali d’area hanno preferito innalzare, tra di loro, i muri dell’incomunicabilità piuttosto che creare occasioni d’incontro; hanno preferito coltivare l’autoreferenzialità piuttosto che misurarsi sulla fattibilità delle proposte; hanno preferito l’estraniamento al confronto. Poi certamente i “politici” ci hanno messo del loro, non comprendendo che qualsiasi progetto di governo, per durare e per consolidare il consenso, ha bisogno di una strategia di lunga durata più che qualche spot elettorale.
I risultati sul versante del centrodestra li abbiamo visti. Ora si tratta di voltare pagina.
Le energie intellettuali non mancano. Bisogna cominciare a collegarle tra loro, superando la logica perdente della conventicola, che ha sempre caratterizzato l’area vasta e composita del centrodestra. Gli avversari culturali e politici sono altrove, certamente non sul versante del centrodestra. Un modello di egemonia culturale (da destra) è possibile. Incontrarsi per pianificare una strategia in tal senso non solo è auspicabile, ma doveroso.