10 Agosto 1877. Nasce a Kole, città danese, Harald Bergstedt. Romanziere, poeta, drammaturgo, autore di canzoni e musicista.
Questa breve nota biografica necessita di una spiegazione. Mi ero imbattuto in questo autore anni fa razzolando nel giacimento librario di Palazzo San Macuto a Roma, nella sempre deserta Sala delle Capriate, trovandone notizia in un testo tedesco.
Poi non avevo più trovato traccia di Bergstedt, né in testi sulle letterature della Scandinavia e neppure nel volume di Tarmo Kunnas dedicato a 80 autori “fascisti” europei che largheggia nell’accennare a molti altri oltre gli ottanta previsti privilegiando spesso quelli del Nord Europa, (Kunnas è finlandese); su Bergstedt neppure un accenno.
Quindi, poche notizie e nessuna possibilità di riscontro o verifica tranne il web in lingue a me sconosciute. Questi sono i pochi appunti che avevo raccolto.
Ciò premesso, aggiungo che difficilmente ci capiterà di leggere qualcuno dei suoi romanzi in italiano o in una lingua diversa dal danese. Al contrario, grazie a Youtube è possibile ascoltare alcune delle sue canzoni.
Un vero peccato non poter approfondire un autore che pare ai suoi tempi scrivesse in difesa delle tradizioni identitarie contro lo spettro che già si vedeva arrivare di un mondialismo anche culturale. Un grido di allarme che invece possiamo chiaramente leggere in autori contemporanei di Bergstedt, come lo Johan Huizinga della “Crisi della civiltà”.
Quanto alla sua vita politica, Bergstedt, partito dal socialismo all’inizio del secolo, approdò al nazional-socialismo danese, iscritto al Danmarks Nationalsocialistiske Arbejderparti, il partito nazista danese che ebbe come ultimo leader Frits Clausen (morto in carcere nel 1947) e che godeva di un consenso numericamente consistente.
Tuttavia, durante l’Occupazione tedesca della Danimarca Bergstedt, pur militando nel Dnsap e “collaborando”, mantenne la schiena dritta denunciando la politica di occupazione tedesca (che, per onestà, va detto, per qualche anno – fino alle prime azioni militari della Resistenza – fu davvero blanda da quelle parti).
Nel 1946 fu condannato a due anni di carcere per aver scritto sul giornale del partito, “Fædrelandet” (traducibile come “Terra degli avi”, o “Patria”); fu anche espulso dall’Associazione degli scrittori danesi.
Ma ciò che è insopportabile nella logica della libertà della cultura, la sua produzione poetica fu censurata e solo qualche anno prima della sua morte, avvenuta a Copenaghen nel 1965, le sue canzoni poterono essere trasmesse dalla Radio danese.