La Turchia di Erdogan ha imboccato una duplice strada: l’esaltazione delle radici religiose islamiche contro il laicismo e quella del passato imperiale ottomano contro il kemalismo nazionale. A ricordarci cosa furono questi due aspetti del mondo turco nei confronti dell’Europa è un lunghissimo dossier sul numero estivo di Storia in Rete, il mensile diretto da Fabio Andriola. Partiti da un piccolo feudo in Anatolia, i turchi ottomani dilagarono a est e a ovest, conquistando lo spazio geopolitico fra Danubio e Mesopotamia che fu già di Roma e di Bisanzio e proclamandosi come prosecutore di quell’esperienza imperiale. Un’Impero – tuttavia – declinato nel segno dell’Islam, che aggredì l’Europa cristiana e per tre secoli ne fu il principale nemico.
Invasioni, schiavismo, imperialismo – tutte accuse che normalmente vengono gettate sugli europei – furono invece le costanti del rapporto fra la Costantinopoli ottomana e la Cristianità dal 1300 al 1800, quando il Vecchio Continente fu finalmente di nuovo abbastanza forte da rovesciare di segno la freccia dell’espansionismo ed erodere – parzialmente e temporaneamente – le terre strappate alla Cristianità fin dalle primissime invasioni islamiche arabe.
Storia in Rete analizza questo rapporto conflittuale, che tratteggia un’Europa “vittima” (quantomeno secondo i canoni di “buono” e “cattivo” che vanno per la maggiore nel mainstream, e che questa testata ha sempre rifiutato) e sulla difensiva, che contraddice le convinzioni più diffuse. Ovvero che gli imperialisti e gli schiavisti eravamo (solo) noi e che l’ondata di reflusso che l’Europa subisce dalla metà del XX secolo è “moralmente meritata”. Oggi l’Europa è inerme davanti a un’invasione etnica dichiarata (è Erdogan stesso che parla agli emigrati turchi, incitandoli a far figli in territorio europeo: le scimitarre dei giannizzeri hanno ceduto il posto ai ventri delle madri turche) perché non ha gli strumenti di conoscenza storica e consapevolezza del passato oltre le dicotomie “buono” e “cattivo” da film hollywoodiano. Questo lungo dossier fornisce argomenti, dati, elementi per ricostruire una coscienza di “chi siamo noi”. E magari aiutare a capire perché certe meccaniche di rapporto fra Stati e popoli oggi non sono né “inevitabili” né “spontanee”, ma seguono logiche profonde, reversibili e comunque già viste nella storia (basta conoscerla…).
Il numero estivo di “Storia in Rete” comunque offre molto altro: dal dibattito sempre più infuocato fra “risorgimentalisti” e “neoborbonici”, con Pino Aprile e Pierluigi Romeo di Colloredo che intrecciano le armi dialettiche a tre inquietanti dossier su quella storia infinita che sono le ultime ore di Mussolini: una inedita confessione di Walter Audisio, il “Colonnello Valerio”, sedicente “giustiziere” del Duce, che dichiara di aver ucciso il dittatore e Claretta dentro Villa de Maria per poi inscenare una finta esecuzione pubblica sul cancello di Villa Belmonte (quello che per anni hanno sostenuto Pisanò, Bandini e Andriola, e altrettante volte è stato recisamente, rabbiosamente negato dai partigiani e dagli storici “ufficiali”); la vicenda degli oscuri legami fra Leo Valiani e i servizi segreti britannici, che può aver allungato i suoi tentacoli fino alla “sentenza di morte” con cui venne deciso di liquidare rapidamente e senza processo pubblico Mussolini; infine una perizia sulle fotografie che un anno fa vennero pubblicate proprio da “Storia in Rete” e che sembravano dimostrare la presenza dell’agente USA Valerian Lada-Mocarski a Dongo proprio il giorno dell’uccisione di Mussolini. Un’analisi approfondita che dimostra la falsificazione di due di quegli scatti, e che spalanca un nuovo abisso di domande: chi e perché aveva interesse a millantare la presenza a Dongo di Lada-Mocarski? Perché a distanza di oltre 70 anni un ex agente dell’OSS invia a dei ricercatori in Europa delle foto falsificate su un suo ex collega? Un nuovo fronte si apre in quella che appare come una intricatissima spy story che fa impallidire le trame dei migliori giallisti di sempre.