La commissione europea scopre che un giovane italiano su cinque non lavora né studia. La notizia può lasciare di stucco solo quelli che non conoscono la provincia, che poi è lo spaccato più autentico del Paese. I ragazzi italiani hanno ucciso la speranza e con essa sbriciolano uno dei capisaldi ideologici dell’iperliberismo occidentale.
La chiamano “ascensore sociale”, la grande promessa su cui si basa tutto il consenso del sistema demoliberale. A chiunque è garantita una possibilità, tutti possono puntare in alto, far soldi, avere cariche e raccogliere allori. È la retorica dell’american way of life, tradotta in Europa (e in Italia) in quella del “volere è potere”, ultima eco del disastro glorioso degli anni ’80.
L’orizzonte non è per niente roseo. Ricorda quella leggenda metropolitana sorta attorno alla moda del tatuaggio della ragnatela al gomito, nata tra i ragazzotti costretti dalla disoccupazione a frequentare (solo) i pub inglesi. È l’orizzonte in cui si muovono i personaggi di Chuck Palahniuk e di Irvine Welsh mentre da noi in Italia certe cose non si possono nemmeno pensare: la letteratura s’è fermata ai buoni sentimenti delle sciure salottiere, alle geniali intuizioni di irresistibili questurini.
Senza speranza, appunto. Senza voce, costretti a subire mille angherie da troppi osservatori strabici. Negli anni li hanno chiamati bamboccioni, li hanno dipinti come folli pronti a scannarsi per nulla, ubriaconi di internet e vittime di ogni moda. Loro hanno smesso di andare a votare. Poi hanno deciso di chiudere i libri, dato che le lauree servono solo a friggerci le patatine oltre che a riempire d’orgoglio mamma e papà. C’è chi ha scelto di andarsene all’estero e c’è chi invece è rimasto in paese. Stufo di aspettare una chiamata dal Comune, di dover lavorare rigorosamente in nero con la scusa della gavetta, di dover fare sei lavori per guadagnare come se ne facesse mezzo. Stanco di doversi rompere la schiena per guadagnare la miseria di duecento euro al mese, quando solo di benzina ne arrivi a spendere trecento. Gli rimproverano pure di non far figli. Con questi chiari di luna, chi li sfama i pargoletti? Il bonus bebé?
Meglio svegliarsi a mezzogiorno, scendere al bar, farsi un Campari Gin e non pensare. Protestare non serve a niente, la speranza non è di questo mondo. La speranza l’è morta, e l’ideologia del “siamo tutti borghesi” morirà bulimica, d’inedia e d’avidità.
Quella di questi ragazzi è una generazione abortita, stretta nella morsa dei figli di papà e degli eserciti di poveracci stranieri sfruttati ignominiosamente, pronti a tutto pur di far qualcosa. Solo che nessun analista si prende la briglia di farsi un aperitivo con loro, preferendo indugiare sulla retorica dei ragazzotti sfaticati, delle giovani generazioni inevitabilmente peggiori di quelle che le hanno precedute e chissenefrega se sono stati proprio i “vecchi” ad aver costruito questo mondo che non dà alcuna possibilità ai loro figli.
Tutto ciò è poco interessante, farsi un esame di coscienza non è mai bello. E poi in Italia le emergenze sono (sempre) altre, tipo i folklorismi balneari di qualche bagnino veneto.