EFFEMERIDI – 18 Luglio 1871. A Torino nasce Giacomo Balla, pittore.
A Torino ci rimase fino all’età di vent’anni, facendo studi regolari e poi entrando all’Accademia Albertina; ma pittura e disegno li aveva frequentati da autodidatta fin da giovanissimo. Il periodo torinese corrispose al suo approccio divisionista dovuto alla frequentazione di artisti come Pellizza da Volpedo.
Il grande salto lo fece diventando romano di adozione, nella Capitale si trasferì poco più che ventenne nel 1895 e, divisionista pieno, divenne presto famoso come paesaggista e ritrattista, soprattutto dei vinti, dei più poveri (“Il mendicante”, “La pazza”, “Giornata dell’operaio”), attratto com’era dal socialismo umanitario in quel tempo della Roma umbertina.
Un soggiorno parigino di qualche mese all’avvio del nuovo secolo gli consentì di entrare in contatto con nuove tecniche come la cronofotografia di Étienne-Jules Marey.
Tornato a Roma nel 1901 si stabilì in via Parioli nei pressi di Porta Salaria (più o meno dove oggi si trova piazza Fiume) e lì, tra la luce di Villa Borghese e la sensibilità pittorica che aveva via via accumulato, iniziò il suo vero percorso di ricerca pittorica nuova, fuori dai moduli convenzionali.
Si arrivò quindi al 1913 quando davanti ad una galleria di via del Babuino mise una croce e la scritta: “Balla è morto. Qui si vendono all’asta le sue opere”. Ma Giacomo Balla era dinamicamente vivissimo e quello era solo l’addio al passato con la vendita delle vecchie opere.
In realtà era entrato già da un po’ nel percorso del Futurismo, al quale restò poi sempre fedele; nel 1910 aveva firmato il “Manifesto dei pittori futuristi”, assieme ad altri tra i quali il suo grande amico Umberto Boccioni che morirà banalmente a 33 anni nel 1916. Un paio di anni dopo, in Germania, a Düsseldorf, aveva già dato modo di far vedere il suo nuovo approccio stilistico affrescando una abitazione.
Quegli inizi futuristi per Balla furono catastrofici da un punto di vista economico, una scelta artistica che per anni lo vide quasi alla fame.
Venne anche il tempo della politica, o per meglio dire, della scelta di campo interventista dei futuristi nel 1915. Balla fu in piazza con i manifestanti, lo fu anche nella drammatica giornata dell’11 aprile 1915, durante la quale nelle grandi città si fronteggiarono interventisti, neutralisti e forza pubblica. A Firenze, oltre ai cazzotti e alle bastonate si sparò anche. A Roma il Governo aveva emesso un decreto che vietava i comizi. Cercarono di non rispettarlo i neutralisti che al grido di “No alla guerra!” manifestarono in piazza Esedra, dove furono arrestati il leader socialista Arturo Vella e l’avvocato Della Seta, mentre cercavano di parlare alla folla. E cercarono di non rispettarlo neppure gli interventisti – tra i quali c’era Giacomo Balla – che al termine di un corteo con migliaia di partecipanti, arrivato a piazza Barberini, quando il direttore del “Popolo d’Italia”, Benito Mussolini cercò di prendere la parola, fu caricato dalla polizia a cavallo (e Mussolini finì in carcere assieme a Marinetti).
Qualche mese prima, a settembre, Balla aveva lanciato uno dei tanti manifesti futuristi, con una sua invenzione “interventista”, il “Vestito antineutrale” (il cui testo lo si può leggere interamente negli allegati a questa effemeride); che fu poi indossato a dicembre dai futuristi Marinetti e Cangiullo durante le manifestazioni all’Università di Roma contro i professori accusati di essere filo-tedeschi (a favore degli Imperi Centrali).
Il vestito antineutrale non avrà la fortuna che invece ebbe subito -e prosegue ancora adesso – quello che inventerà nel 1919 l’anglo-svizzero-fiorentino (ma fiorentino davvero di nascita e di gusti) Thayaht, psueodnimo palindromo di Ernesto Michahelles: la tuta.
Nel decennio tra il Futur-Balla degli studi pittorici di movimento (che lui chiamava “velocità astratte”) e la sua “Bionbruna” (del 1926), c’è buona parte della cultura pittorica europea d’avanguardia, da De Chirico a Paul Klee; a casa Balla, nel suo studio romano in via Oslavia a Prati, passano Fortunato Depero (assieme nel 1915 firmeranno il manifesto della “Ricostruzione futurista dell’Universo”), Enrico Prampolini, …. passano il Surrealismo, il Dadaismo, il Cubismo, la teosofia, i balli di Sergej Djagilev per Strawinsky …. e non solo, passano anche sperimentazioni artistiche in altri campi, come nel teatro, le scenografie di Arturo Ciacelli, i lavori di Depero e di Julius Evola, i letterati futuristi del giro di Luciano Folgore e l’inaugurazione della Casa d’arte Bragaglia in via degli Avignonesi, con una sua personale.
E non poteva mancare, nell’Italia di quegli anni anche il Balla fascista chi si cimenta con la scultura di una statuetta di Mussolini che intitolerà “Sono venuto a dare un governo all’Italia” e che per il decennale della Marcia su Roma dipingerà quel “Velocità astratta” con Mussolini e i Quadrumviri che pare la versione fascista del Quarto Stato di Pelliza da Volpedo. E nel fascismo Giacomo Balla mise non solo la sua arte ma anche cervello e cuore (non so se si potrà scrivere una frase del genere in futuro quando la Lex Censoria Fiano sarà approvata, perché questo potrebbe accadere!).
Le sue figlie – che, pittrici anch’esse, lavoreranno con lui – ebbero nomi futuristi: Elica e Luce.
Nel dopoguerra Giacomo Balla pagherà con il consueto ostracismo la sua adesione al fascismo.
Morirà nel 1958 dopo essere riuscito a fare pochissime personali, a Firenze e Roma e morirà in povertà.
Dovranno passare degli anni, molti anni perché la sua arte sia finalmente, nuovamente omaggiata dai critici di una nuova generazione.
Nel 1988 la figlie doneranno alla Galleria d’arte moderna di Roma, 35 opere del padre, un ciclo completo della sua arte pittorica.