![Paolo Villaggio al Festival del Cinema di Roma](https://www.barbadillo.it/wp-content/uploads/2017/07/d8f6258539-310x170.jpg)
Ricordiamo Paolo Villaggio con una intervista dell’8 gennaio 2012, firmata sul Secolo da Giovanni Marinetti, attualmente a La7. E’ un Villaggio a tutto campo, su giovani, partiti, cinepanettoni e futuro cinese…
Paolo Villaggio, ottanta anni compiuti da poco, per molti sarà per sempre il mitico ragionier Fantozzi, simbolo dell’italiano medio, impotente rispetto al potere, cartina di tornasole di un paese sempre in bilico tra servilismo e cattiveria pura. Vittima, in ogni caso, del destino, del potere, delle proprie debolezze e, soprattutto, della propria vigliaccheria. Villaggio è in libreria con due opere, diversissime tra loro: la prima è un prontuario comico che ruba il titolo proprio al linguaggio di Fantozzi, “Mi dichi” (Mondadori); il secondo, “La vera storia di Carlo Martello” (Dalai), è un romanzo-omaggio al suo grande amico Fabrizio De André e a una delle sue più belle canzoni, “Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers”.
Villaggio, il governo tecnico di Monti somiglia così tanto ai supermega direttori dei film di Fantozzi, e la parte del famoso ragioniere sembra toccare ai partiti, goffamente servili all’apparenza ma con molto astio represso verso il capo. È così?
“Ormai sì, i partiti sono fantozziani. E con il governo Monti in carica il vero pericolo lo corrono loro. I partiti fanno di tutto perché questa manovra vada in “merda”, perché se le misure del governo funzionano, Monti diventa una divinità e i politici, tutti, dimostrano di non essere stati in grado di salvare il Paese. Il vero pericolo, quindi, lo corrono i partiti, e soprattutto quella classe politica mediocre legata ai privilegi della casta. Perciò tutti hanno votato fantozzianamente la fiducia alla manovra, ma sono sempre lì pronti a ritornare al passato. Intanto questo gruppetto di gente pratica sta provando a salvare l’Italia; facendoci tirare la cinghia? Chi se ne frega, conta il risultato. E infatti a Natale tutti hanno capito che era stupido buttare via i soldi”.
Ecco, gli italiani consumano poco, il clima di austerità ormai è diffuso. Siamo diventati una nazione triste? Qual è l’umore del nostro paese?
“Non oso dire che l’Italia sia triste. Sicuramente cerca disperatamente di essere allegra, perché la verità è che ha paura. Pensiamo ai tanti giovani che cercano lo stordimento, che si impasticcano, si drogano o bevono tantissimo. Sono antidepressivi. Oppure si rifugiano nelle discoteche, simbolo di un luogo dove non si riesce a sentire l’altro, dove è impossibile pensare, perché i giovani non vogliono sentire. Le nuove generazioni sono impaurite dal futuro. I vecchi come me non hanno paura del futuro perché non ne hanno. Io non posso pensare a me tra vent’anni. Invece i giovani non riescono a immaginare la loro vita fra vent’anni, sentono che è cambiato qualcosa, e hanno paura.
Il problema vero è che l’Italia era un paese che quando ero giovane io aveva trenta milioni di abitanti, mentre adesso va verso i settanta milioni, perciò è cambiata completamente la ricerca del lavoro. È cambiato il modo di vivere. Poi, la televisione non aiuta, perché suggerisce dei modelli di vita che sono la “felicità”. E la felicità proposta dalla tv è di essere ricchi, potenti, presenzialisti e avere donne bellissime. E oggi, infatti, la cultura non conta, gli attori di teatro sono considerati zero, mentre i calciatori sono dei miti”.
Quando ha visto le lacrime del ministro Fornero cosa ha pensato?
“Cosa vuoi che ti dica. Cosa vuoi pensare di un ministro che piange? Non si capisce bene cosa è la manovra, però continuano a dire: sarà dura, sarà difficile. Però è vero che le misure annunciate, sinceramente, con questa manovra non possono che rendere la vita ancora più triste. Dopo la guerra, ricordo benissimo, con il boom economico l’Italia è diventato un paese ricco, c’era una grande euforia. Tutti erano euforici. Adesso è il tempo della paura, di quell’euforia non c’è più nemmeno ricordo. E le donne sono, assieme ai giovani, quella che pagano il prezzo più alto, perché hanno meno chance!”.
Anche i cinepanettoni hanno avuto un crollo al botteghino…
“Davvero? Hanno incassato molto meno degli altri anni?”.
Sì, sembra siano il vero flop cinematografico dell’anno.
“Mah, secondo me il problema è sempre la televisione perché ha dato una grande spinta dall’alto verso il basso. C’è un gusto comune che è quello dei reality, dal Grande Fratello all’Isola dei Famosi, e i pomeriggi sono pieni di quei quiz che sono culturalmente zero. La televisione commerciale, in prima linea quella berlusconiana, ha visto che più si abbassava il linguaggio, a cominciare dai tempi di Mike Bongiorno e passando pure per Celentano, con un pizzico di qualunquismo qua e là, più si alzavano gli ascolti. E più si alzavano gli ascolti, più le reti incassavano dalla pubblicità. La Rai si è adeguata, nonostante sia un servizio pubblico pagato con il canone. Forse, alla fin fine quel genere sempre medio-basso ha stancato. Non mi stupisce allora che la gente preferisca un film come Sherlock Holmes vinca al botteghino. Ma prima servirebbe una televisione di qualità”.
Per molti il cinepanettone era il simbolo dell’Italia berlusconiana, un po’ volgare, un po’ dalla comicità facile. Significa che anche gli italiani stanno prendendo le distanze dal berlusconismo?
“Magari! Ma non è così. Però, sicuramente, è un indicatore”.
Cinepanettoni a parte, per molti comici di sinistra inizia un periodo difficile: senza Berlusconi, dovrebbero rivedere il loro modo di far ridere. Lo faranno?
“Trovo che da quel punto di vista siamo spacciati. Ma più che dei comici forse dovremmo preoccuparci del risveglio dell’Oriente. Li abbiamo massacrati per secoli, con gli inglesi che hanno fatto carne di porco della Cina e dell’India. Dovremmo piuttosto andare a Shangai e vedere come si sono modernizzati, come sono tecnologicamente avanti a noi di cento anni. Perché noi europei, che ci consideriamo ancora la sede della cultura occidentale, siamo presuntuosi, ci crediamo il centro del mondo. Anche se non lo siamo più. E abbiamo fatto un uso bieco delle armi, come gli Stati Uniti, che si sono arricchiti con le guerre. E che, con la crisi, adesso si ritirano dagli scenari più difficili…”.
Quando torneremo a ridere di pancia?
“Temo non nei prossimi due secoli. Dovremo invece imparare il cinese”.
Una previsione troppo pessimistica! Ci dica, allora, il suo augurio per il 2012.
“Imparare il cinese e attrezzarsi con gondole su ruote a piazza di Spagna”.
(dal Secolo d’Italia)