“Certi valori o ce li hai o non ce li hai” risponde, con franchezza, il Capitano MOVM Gianfranco Paglia della Brigata Folgore nel corso di Ballarò quando gli viene chiesto come ci si formi a dedicare la vita alla Patria. Una vecchia intervista, vero, ma la risposta è sempre attuale specie quando ricorre il 2 luglio e non tutti ricordano quel tragico giorno di inizio estate del 1993.
Il giovane Paglia, ai tempi sottotenente, si trova a Mogadiscio nel quadro di UNITAF “Restor Hope” missione ONU nata con lo scopo di difendere i civili dopo il collasso del sistema politico locale, seguito alla morte di Siad Barre.
Non è la prima missione ONU alla quale l’Italia partecipa: dieci anni prima c’è stato il Libano, negli Anni Sessanta il Congo. Tutti angoli del globo travagliati da conflitti intestini che hanno insanguinato Africa e Medio Oriente, coinvolgendo anche i nostri
militari: a Kindu, nel ’61, cadono 13 aviatori e avieri della 46° Aerobrigata e, pochi mesi prima, perde la vita un Caporale barelliere del Corpo Militare della CRI; nel corso di ITALCON Filippo Montesi, marò del San Marco di nemmeno 20 anni, viene ucciso a Beirut con un colpo alla schiena. E’ il marzo 1983. Ma si muore anche per una libera uscita, come accade al marinaio di Nave “Stromboli” Cosimo Carlino, vittima di un accoltellamento a Dubai che anni dopo sarà rivendicato da Al Qaeda o se il tuo elicottero è dipinto di bianco e il MiG serbo non ci bada (Eccidio di Produte) o, ancora, se la batteria anti-aerea nemica ti centra mentre rechi soccorso alla popolazione (Strage di Monte Zec). Infine, un mese e mezzo prima della battaglia del Pastificio, cade il parà Giovanni Strambelli. Nei primi ’90, dunque, l’Italia ha già sostenuto missioni che hanno richiesto un altro tributo di sangue da soldati di leva e da ufficiali di complemento, dato che l’arruolamento volontario arriverà solo col nuovo Millennio.
Torniamo a Paglia. La situazione nella capitale somala non è facile e il reparto del Sottotenente, soccorrendo feriti, è fatto oggetto di spari da parte di cecchini mescolatisi fra i civili. Un metodo subdolo quello del nemico, poiché rende difficile rispondere al fuoco: se devi proteggere i civili, la prima cosa che fai è stare attento a come rispondi, onde evitare vittime innocenti. In quelle tre ore di battaglia perdono la vita il Sottotenente dei “Lancieri di Montebello” Andrea Millevoi, il Caporale Pasquale Baccaro del 186° Rgt. “Folgore” e il Sergente incursore Stefano Paolicchi. Trentasei i feriti, fra i quali lo stesso Gianfranco Paglia.
Ma non è finita: fra agosto e dicembre, infatti, altri sette italiani muoiono in terra somala; tra loro una donna, Sorella Maria Cristina Luinetti delle Infermiere Volontarie (il grado è equiparato a Sottotenente), accoltellata in un ospedale. A novembre, in Mozambico, nell’ambito di ONUMOZ, muoiono due militari dell’AVES (Aviazione Esercito) poi, nel 1994, ancora tre morti, uno a Mogadiscio e due in Patria per le ferite riportate rispettivamente in Somalia e in Ruanda. Inoltre, ci sono i caduti del Corno d’Africa dei tempi dell’Amministrazione Fiduciaria del ’49-’60, esperienza italiana di politica internazionale della quale si è perso, completamente il ricordo.
Prima e dopo la riforma che porterà al passaggio dalla coscrizione all’Esercito di volontari l’Italia subirà perdite in Libano, in Afganistan, in Iraq. Dunque, i caduti oltremare sono tanti, ma i loro nomi si sono ormai quasi persi insieme alla memoria delle missioni alle quali hanno partecipato; certo, le operazioni afghana e irachena, piuttosto recenti, sono vive fra gli italiani ma già il teatro kosovaro e quello libanese, nei quali peraltro si continua ad operare, sono adombrati dal silenzio dei media e da una generale, incomprensibile scarsa attenzione dell’opinione pubblica.