Aristofane lo sapeva già. Quando nel 405 a.C. mette in scena “Rane” in occasione delle feste Lenee, Aristofane sapeva che Dioniso e Xantia sarebbero stati Salvo Ficarra e Valentino Picone. Aristofane sapeva che il suo Dioniso, viscerale – nel senso di movimento di viscere- e provocatorio avrebbe trovato nella baldanza di occhi e movenze di quella maschera comica naturale che è Salvo Ficarra la sua forma. E sapeva anche che l’archetipo di tutti i servi, dal servus callidus di Plauto a Sancho Panza ( pensiamo al mulo di Cervantes e troviamo il somaro di Xantia), affaticato dal lavoro e dal padrone avrebbe avuto lo sguardo incantato e saggio di Valentino Picone. Protagonisti indiscussi di “Rane”, Ficarra e Picone dominano la scena del comico nel 53° ciclo di spettacoli classici del Teatro greco di Siracusa con un’interpretazione senza sorprese perché tutti e due sono quel teatro e quella commedia. E il regista di questa edizione di “Rane”, che ha debuttato con successo ieri con repliche fino al 9 luglio, Giorgio Barberio Corsetti, ha costruito intorno a loro (anche allungando la presenza in scena di Xantia- Picone) il palcoscenico mondano pensato da Aristofane per il viaggio agli Inferi del dio del teatro e del vino. “Nato da un otre divino” si presenta Dioniso- Ficarra e già nel primo sfacciato gioco di parole l’identificazione è perfetta: con una sorta di effetto straniante nella commedia del travestimento (Dioniso si traveste da Ercole, Xantia e Dioniso si scambiano vesti e frustate) si celebra l’identità. D’altronde la commedia di Aristofane è la messinscena di una ricerca d’identità: una città, Atene, in crisi per il triste epilogo della battaglia delle Arginuse (406 a.C.), per la restaurazione della democrazia delle “facce di bronzo, vagabondi, paltonieri, e figliuol’ di paltonieri, tutta roba intrusa…”, per la morte dei grandi poeti Sofocle ed Euripide, cerca di salvare la propria identità di supremazia militare e politica sul mondo greco. Aristofane colloca la salvezza della città, tema comune alle tre rappresentazioni classiche di quest’anno a Siracusa, nel regno di Ade e la deriva dalla parola dell’intellettuale.
La regia di Barberio Corsetti è corale, colorata, musicale e fedele alla sua contaminazione di linguaggi (visività e uso delle macchine sceniche) e salda i due mondi, dei morti e dei vivi, mettendo in orizzontale ciò che Aristofane aveva verticalizzato. Il mondo dei morti di Corsetti è il riflesso del mondo dei vivi. Appianano i due mondi i costumi contemporanei e molto belli di Francesco Esposito, la scenografia movente e minimal di Massimo Troncanetti ancor più vivificata dall’uso dei video (i primi piani sugli attori annullano la dicotomia maschera-volto) e delle marionette carnescialesche e imponenti di Einat Landais; e rendono merito al verso di Aristofane “E chi sa se non è morte la vita?” rivolto da Dioniso a Euripide nella seconda parte della commedia. “Rane” è divisa in due parti. La prima, il pàrodos, è la discesa agli Inferi: Dioniso, travestito da Ercole, in compagnia del servo Xantia va nel regno dei morti per riportare indietro Euripide e salvare il teatro dalla decadenza: bussa alla porta di Ercole (un troppo enfatico Roberto Salemi impegnato in una lotta ginnica di dubbia resa con Caco), incontra un morto, Caronte e il coro di ranecigni, arriva nella casa di Plutone e qui busca botte, ostesse e ospitalità (brave Francesca Ciocchetti e Valeria Alberighi e il portiere Francesco Russo) finché al cospetto di Plutone si trova a dirimere la disputa tra i poeti.
Comincia la seconda parte, l’agòn, che è la prima vera pagina di critica della letteratura: Euripide ed Eschilo (interpretati con garbo e generosità da Gabriele Benedetti e Roberto Rustioni) prima combattono a suon di prologhi e “ampolline”, di lingua preziosa e archetipica (di Eschilo) e lingua comune e realistica (di Euripide), di modelli amati dalle Muse e capaci di educare ai grandi ideali (Eschilo) e di rappresentazione del reale (Euripide, per Corsetti una sorta di predecessore della “nouvelle vague”), di severità morale (Eschilo) e indulgenza per i vizi (Euripide). La bilancia, letteralmente portata in scena – questa, insieme alle marionette, la trovata scenografica più bella- pende anzi appende i due tragici in una situazione di equilibrio, finchè dal tema letterario si passa a quello politico. Dioniso chiede ai due poeti la parola ultima per salvare la città. Vince Eschilo che non predica la rivoluzione bensì la mitificazione: concedere agli intellettuali la parola ultima, quella “che l’alma brama” è la scelta di Dioniso. E di Corsetti, che in omaggio alla ”libertà necessaria” del testo appronta un altro gioco dei simillimi dopo quello comico tra divino e umano di Ficarra-Dioniso e Picone- Xantia: spostando nelle sembianze il passato sul presente Eschilo ed Euripide diventano Ezra Pound e Pier Paolo Pasolini. Il filmato dell’ultimo minuto della celebre intervista in cui Pasolini legge al grande poeta americano i versi sulla vanità “Aver raccolto dal vento la tradizione antica…perché qui l’errore è in ciò che non si è fatto” stringono davvero un patto: tra le parole poetiche (Eschilo è Pound, ossia la poesia del sublime come salvezza), tra il mondo di sopra e quello di sotto (il corpo materia del linguaggio nel mondo delle anime), tra la commedia e la tragedia (Dioniso e le sue maschere). Trovato così nel finale il senso della regia di Corsetti, che si affida alla lettera del testo di Aristofane grazie a una preziosa traduzione di Olimpia Imperio capace di esaltare la gestualità delle parole greche e la cantabilità del verso aristofanesco.
“Rane” è una commedia difficile e composita. Corsetti, che forse avrebbe potuto operare qualche riduzione per snellire i tempi dello spettacolo, è riuscito di sicuro nell’intento di fare della complessità un “gran teatro del mondo” puntando sulle scene di massa (i cori) e sulle situazioni comiche (in questo Ficarra e Picone si confermano mattatori, degni eredi di tutto l’espressionismo comico dai lazzi alla sottigliezza ironica, sbracati o sottili come modula il testo stesso nelle due parti); giocando sui travestimenti anche in senso metalinguistico: nella gara l’irrompere del reality televisivo e dell’orgia felliniana (?) per estremizzare la visione di Euripide si affianca alle ombre di dei ed eroi di Eschilo, gigantesche marionette. Riuscitissime le scene del coro: quello degli iniziati (bravissimi gli attori dell’Accademia del dramma antico e il corifeo Gabriele Portughesi) e soprattutto il coro delle rane.
I SeiOttavi, autori anche delle musiche, restituiscono al canto delle rane la centralità più volte fraintesa nella esegesi del testo. Non aveva altro titolo Aristofane per la sua commedia sul linguaggio perché il “Brechechechè, coà, coà” delle rane ribalta la sua eco nella seconda parte del testo e Corsetti non solo rende visibili le rane ma ne affida la voce a uno swing delizioso e alla voce a cappella del gruppo palermitano. Un azzeccato pastiche risulta alla fine il quasi musical di Corsetti, capace di mescolare in una gradevole messinscena quelle scurrilità della commedia e impennata aulica della tragedia che compongono “Rane” di Aristofane.