29 giugno 2012. A Milano muore il conte Urbano Rattazzi. Piemontese, era nato nel 1918, pronipote dell’omonimo Presidente del Consiglio dei primi anni del Regno d’Italia.
Durante la campagna di Russia combatté come ufficiale di Cavalleria.
Tra i suoi commilitoni c’era anche Giovanni Agnelli e durante una licenza a Torino conobbe la sorella del futuro presidente della FIAT, Susanna Agnelli, sua futura moglie.
Dopo il disastro russo fu tra coloro che riuscirono a rientrare in Italia dove lo colse l’8 settembre 1943.
Urbano Rattazzi fu tra quegli italiani che sentirono nella loro carne il disonore del tradimento del Re, di Badoglio e dei loro sodali e corse ad arruolarsi nella Xª MAS.
Una scelta fatta come molti altri aristocratici che scelsero il campo dell’Onore schierandosi con il principe Junio Valerio Borghese.
Spiegherà così negli anni ’70:
“La X Flottiglia MAS (e forse, l’intero corpo delle Forze Armate della RSI) era un po’ come una Legione Straniera: vi militavano personaggi mossi dai sentimenti più diversi. Tutta una gamma, che andava dai fascisti più convinti ad uomini sicuramente non simpatizzanti del regime fascista. Io, personalmente che, come tanti cari amici (ricordo Marcello Honorati e Giuseppe Vallauri, fra gli altri), appartenevo al secondo gruppo, ero mosso da un principio etico elementare, che nulla aveva a che vedere col fascismo: così elementare che non ha perduto né la sua verità né la sua forza attraverso i decenni. Il principio che una guerra la si combatte da una sola parte. Right or wrong, come dicono gli inglesi. L’”inversione di fronte”, elegante eufemismo inventato da qualche ufficiale di Stato Maggiore del Regio Esercito per indicare il passaggio al campo avversario, con armi e bagagli, è, lo confesso, al di sopra delle mie forze: specie quando la sua ragione vera è soltanto il fatto che si stanno prendendo sonore legnate. Ma c’era anche qualcosa d’altro. Lo spettacolo dello sfasciamento del regime fascista nell’anno 1943, di questo regime che fin dalla nostra più tenera infanzia ci aveva rotto i timpani, incessantemente, con i clangori dell’Epos, e alla prima esperienza dura si squagliava in massa come neve al sole; questo spettacolo era così miserevole e disgustoso che noi sentimmo il bisogno invincibile di ripararvi in qualche modo. E così noi, i non-fascisti, prendemmo il posto abbandonato dai fascisti: con un gesto un po’ assurdo, che era di sdegno e di disprezzo insieme, diretto proprio a tutta quella ‘gerarchia’ fascista che, dopo averci lotto le scatole per vent’anni con i canti di guerra, al momento buono era scomparsa nell’ombra, dove, lo sapevamo (…)”.
Una motivazione da “a-fascista” da affiancare a quella dei fascisti che non “abbandonarono il posto”, molto spesso proprio quelli che durante il Regime erano stati in disparte; una motivazione, da aggiungere a quelli che erano stati antifascisti come lo scrittore Marco Ramperti o addirittura come Nicola Bombacci, co-fondatore del Partito Comunista d’Italia.
Rattazzi durante la RSI combatté quindi il nemico nelle fila del Battaglione Barbarigo, affrontò gli Alleati sulla Linea Gustav, sul fronte di Cassino e poi, dopo lo sbarco di Anzio, contendendo al nemico ogni metro di terreno, nella difesa di Roma.
Dopo la perdita di Roma, il 4 giugno 1944, il reparto della Xª MAS fu spostato a Nord dove il rischio era di trovarsi a contrastare altri italiani che avevano fatto una scelta diversa.
Uno dei protagonisti dei combattimenti contro gli Alleati sul fronte di Nettuno, il comandante Umberto Bardelli, figura carismatica, amata dai suoi marò, l’8 luglio 1944 cadde in una imboscata tesa da una banda partigiana nella piazza di Ozegna (Torino).
Fino a quel momento il reparto non aveva ancora incrociato i partigiani, Bardelli, sorpreso ad Ozegna assieme ad alcuni dei suoi ragazzi, più che una trattativa cercò di capire le ragioni di chi aveva fatto la scelta partigiana e per dimostrare fiducia e buona volontà fece mettere le armi a terra ai suoi. Una ventina di minuti di pacata conversazione tra Bardelli e il capo partigiano “Piero Piero” non sembravano preludere ciò che sarebbe accaduto subito dopo.
Improvvisamente, evidentemente quando i partigiani ebbero finito di appostarsi nelle case circostanti, “Piero Piero” intimò la resa ai marò.
Bardelli rispose: “Barbarigo non si arrende!”, subito dopo iniziò una sparatoria contro il gruppo di militari disarmati che cercarono di rientrare in possesso delle loro armi. Il comandante Bardelli e altri dieci marò rimasero sul terreno, morirono anche tre partigiani e un passante. Alcuni marò feriti furono finiti dai partigiani.
I superstiti furono fatti prigionieri e portati a Pont Canavese, fra essi anche il giovanissimo Mario Tedeschi, futuro direttore del settimanale “Il Borghese”.
Percossi e vittime di varie angherie i marò prigionieri furono in seguito scambiati con partigiani prigionieri ma l’episodio ebbe un impatto tremendo sulla Xª MAS che non aveva messo in conto la guerra civile.
Il comandante Borghese convocò tutti gli ufficiali presenti in zona, circa 300.
Narrò i fatti di Ozegna e la situazione che si era creata nella quale il reparto non avrebbe più potuto sottrarsi alla lotta ai partigiani.
Lasciò liberi gli ufficiali di scegliere, 15 di essi non se la sentirono e furono congedati. Tra essi Urbano Rattazzi.
Venne poi la fine della guerra, nel 1945 Rattazzi sposò Susanna Agnelli, si laureò in Giurisprudenza e iniziò tutt’altra vita, per molti anni fu presidente della Ferrania in Argentina, poi ancora presidente ma dell’IFIL e infine vice presidente dell’azienda fondata da suo nonno a Genova, la Coe & Clerici.
Dal legame con Suny Agnelli, matrimonio che finì nel 1975, nacquero sei figli, uno dei quali fu chiamato Lupo come il nome di un Battaglione della Xª MAS, figlio che scelse di frequentare il Collegio Navale Morosini di Venezia.